Gli imprenditori Mimmo Costanzo e Concetto Bosco, agli arresti domiciliari oggi nell’ambito dell’inchiesta Arcot sulla bancarotta di Tecnis, secondo la Procura di Catania “risultano ancora oggi operativi sul mercato attraverso la società Amec srl, costituita alla fine del 2017, con sede a Santa Venerina, che opera nel settore costruzioni generali e delle infrastrutture, con un fatturato annuo dichiarato di 11 milioni di euro”.
Dalle indagini di militari del nucleo di Polizia economica finanziaria della Guardia di finanza di Catania è emerso che la società, la cui denominazione sarebbe l’acronimo di Ancora Mimmo e Concetto, sarebbe beneficiaria di un affitto d’azienda operato da Cogip infrastrutture srl e risulta aggiudicataria di commesse pubbliche, di recente avrebbe vinto un appalto dell’Anas da 50 milioni di euro.
La Amec, lo ricordiamo, è subentrata alla Sikelia, acquisendo le quote di Tecnis dentro la Scarl ‘La Cala’, vincitrice dell’appalto “Disinquinamento della fascia costiera dall’Acquasanta al fiume Oreto” a Palermo. Si tratta del collettore fognario attualmente in costruzione, all’incrocio tra via Roma e via Emerico Amari, in interferenza con l’Anello Ferroviario. Numerosi i ritardi e i disagi denunciati in questi anni dall’associazione “Amari Cantieri”.
Intanto, con l’operazione Arcot di oggi, si paventa il rischio di ripercussioni proprio sulla Amec. “Trema” dunque il Comune di Palermo per un possibile nuovo stop all’appalto.
“La consistente mole indiziaria acquisita in poco più di un anno d’indagine”, tra aprile 2018 e novembre 2019, scrive la Procura di Catania, ha “evidenziato come già a decorrere dal 2013 era venuta meno la continuità aziendale, non disponendo la Tecnis di risorse finanziarie sufficienti a supportare le esigenze della produzione e a ripianare le rilevanti passività scadute, in assenza di un immediato rientro delle significative posizioni creditorie vantate nei confronti delle società direttamente e indirettamente riconducibili a Costanzo e Bosco”.
A partire dal 2013, osservano i magistrati, la società “iniziava a ricevere diffide ad adempiere, ometteva versamenti di imposte per oltre 7 milioni di euro”, per il 2013 e il 2014, e “procedeva alla cessione di asset aziendali rilevanti per l’obbiettiva impossibilità di sostenerne il finanziamento”.
Per la Procura sono “emblematiche alcune conversazioni intercettate” da militari del nucleo Pef della guardia di finanza di Catania, che “mettono in evidenza il ruolo dominante del duo Mimmo Costanzo-Concetto Bosco nell’amministrazione della Tecnis e della loro prassi di avvalersi di prestanome”. In uno sfogo con un soggetto non indagato, Gaspare Di Paola, anche lui ai domiciliari, infastidito evidenziava che “mi hanno sempre trattato solo come un prestanome, io ho lavorato con imprenditori molto più seri di lui e di Mimmo, cioè ma molto più seri che quando l’impresa poi non c’era più, a me pagavano lo stesso…”.
LE PAROLE DEL PROCURATORE ZUCCARO
“Quest’indagine ci ha fornito un quadro probatorio particolarmente consistente che evidenzia l’attività predatoria che è stata compiuta dagli imprenditori che gestivano la Tecnis Spa”. Lo ha detto il procuratore della Repubblica Catania Carmelo Zuccaro parlando ai giornalisti in merito all’operazione Arcot.
“È un operazione che evidenzia come imprenditori particolarmente spregiudicati – ha aggiunto – facciano la parte del leone nell’aggiudicarsi appalti pubblici, non solo in Sicilia ma su tutto il territorio nazionale, e giocando sporco riescono a vincere la concorrenza di altri imprenditori meno spregiudicati. Ovviamente questo arreca nell’intero sistema complessivo della gestione degli appalti pubblici un enorme danno – ha osservato Zuccaro – perché imprenditori corretti non riescono ad aggiudicarsi questi appalti.
Il problema – ha detto Zuccaro – è che Costanzo voleva perpetuare questo sistema perché, resosi conto che ormai la Tecnis era in una situazione di particolare difficoltà, già aveva cominciato ad aprire un’altra società, la Amec, che stava già cominciando ad aggiudicarsi determinate commesse pubbliche e nella quale i Bosco Lo Giudice e i Costanzo stavano spostando parte della loro attività in modo da perpetuarla nel tempo”.
“Non dimentichiamo – ha aggiunto – che Mimmo Costanzo alcuni anni fa, dopo iniziali reticenze, si decide ad ammettere, che la sua famiglia, il padre e poi lui stesso, direttamente pagavano alla famiglia Santapaola delle somme di denaro anche cospicue, ma assolutamente irrisorie rispetto a quelli che noi riteniamo di essere stati i benefici che ha ricavato da questa protezione che gli veniva accordata. Non vi è dubbio che questo modo di procedere predatorio nei confronti delle propria aziende in realtà nascondeva anche la necessità di alimentare la corruzione e di ottenere indebiti vantaggi dai rapporti con l’associazione mafiosa. Però questo non è direttamente l’oggetto di questo procedimento”.
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