Nelle città, il commercio sta vivendo un periodo di profondo cambiamento, evidenziato dall’crescente desertificazione dei centri storici. Nonostante il Sud e la Sicilia che si difendono egregiamente dal fenomeno rispetto al Nord Est, il panorama è preoccupante: negli ultimi dieci anni più di 110.000 attività di commercio al dettaglio e oltre 24.000 imprese di commercio ambulante sono “sparite” dalla scena urbana italiana.
Un’impresa attiva su cinque è morta e non è stata sostituita: questo il panorama che emerge dall’analisi della nona edizione dell’indagine “Città e demografia d’impresa: come è cambiato il volto delle città, dai centri storici alle periferie, negli ultimi dieci anni” dell’Ufficio Studi Confcommercio, in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne.
L’indagine traccia un trend difficile e complesso che si riflette non solo nella diminuzione delle attività tradizionali, come i negozi di abbigliamento e di giocattoli, ma anche in un cambiamento significativo nei centri storici.
Questo porta la politica ad intervenire con l’implementazione di leggi e regolamenti a vari livelli (nazionale, regionale e comunale) in grado di aggiornare il quadro normativo di riferimento per puntare su efficienza, innovazione e produttività e poter rilanciare il ruolo essenziale del commercio nelle città italiane.
In Sicilia si prova invertire questo fenomeno con l’approvazione di una norma dedicata al contrasto della “desertificazione dei centri storici”.
La legge, inserita nell’ambito della finanziaria regionale e sostenuta in particolare dall’Assessore alle Attività produttive della Regione Siciliana, Edy Tamajo, aggiorna la precedente vecchia legge sulla Riforma del commercio del 1999, ampliando le metrature consentite per aprire attività commerciali e eliminando i vincoli per l’apertura dei grandi negozi e dei relativi brand nazionali e internazionali in tutti i centri storici delle città siciliane.
In particolare l’aumento dei limiti dimensionali delle tipologie commerciali, la cui apertura è di esclusiva competenza dei Comuni, consente il riposizionamento degli operatori di settore favorendone la competitività.
Le attività tradizionali cedono il passo a servizi e tecnologia, soprattutto nei centri storici, con un incremento delle farmacie e del settore informatico e delle telecomunicazioni. Parallelamente, le attività di alloggio e ristorazione mostrano un aumento significativo, mentre aumentano le attività gestite da stranieri.
Il fenomeno della desertificazione commerciale colpisce in modo tangibile le città, con oltre 30.000 unità locali di commercio al dettaglio e ambulanti scomparse, rappresentando una diminuzione del 17%. Un declino particolarmente evidente nei centri storici, sia nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno, contrariamente al trend precedente caratterizzato da una maggiore vitalità commerciale nel Sud.
Il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, durante la presentazione dell’indagine, ha sottolineato che la soluzione per contrastare questo declino è puntare sull’efficienza, produttività e innovazione nel commercio di prossimità.
L’omnicanalità, cioè l’integrazione del canale online, si conferma fondamentale, con le vendite online che crescono in modo significativo.
Negli ultimi cinque anni, infatti, gli acquisti di beni su Internet sono quasi raddoppiati passando da 17,9 miliardi del 2019 a 35 miliardi del 2023. Nel 2023, l’e-commerce rappresenta il 17% degli acquisti di abbigliamento e il 12% nel settore beauty. Nonostante sia responsabile della riduzione dei negozi fisici, l’e-commerce può essere considerato un’opportunità per il commercio tradizionale.
In conclusione, la sfida per i negozi locali diventa sempre più acuta. La riflessione sul valore sociale del commercio emerge come tema centrale, invitando a una seria presa in considerazione delle strategie e norme che possano preservare e rilanciare il ruolo essenziale del commercio nel tessuto urbano italiano.
I DATI
Nord e Sud Italia: la situazione
Concentrando l’analisi sulle 120 città medio-grandi, la riduzione di attività commerciali è più accentuata nei centri storici rispetto alle periferie, un fenomeno che interessa tanto il Centro-Nord che il Mezzogiorno, fino allo scorso anno caratterizzato – quest’ultimo – da una maggiore vivacità commerciale.
In Sicilia, l’indagine ha riguardato i comuni di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Gela, Marsala, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani.
Qui l’elenco dei dati dei comuni siciliani con tutti i dettagli: Confcommercio – Comuni in Sicilia.
Il rischio di desertificazione commerciale più alto, in Italia, è in una fascia del Nord Est che, negli ultimi anni, ha sofferto moltissimo, anche per la riduzione del turismo russo e tedesco e, tra il 2012 e 2021, ha visto un calo di oltre il 30% in termini di variazione percentuale dei negozi.
Al contrario resistono i comuni, soprattutto del Sud. Queste aree hanno una perdita di negozi non particolarmente grave, tra il 3 e il 12% nel periodo 2012-2021 che si accompagna a un incremento superiore al 20% delle attività non strettamente commerciali come bar, ristoranti, rosticcerie e bed and breakfast.
Emergono al Sud tassi di variazione importanti in tema di alloggi per durate brevi, non di aperture di alberghi tradizionali. Il numero di ristoranti cresce, anche grazie al turismo straniero, ma c’è il travaso dai bar che con la somministrazione cambiano codice di attività per approdare alla ristorazione.
Una tendenza che era emersa anche dai dati pubblicati nell’ultimo report di Unioncamere e Infocamere,sulle rielaborazioni dell’Isnart, l’istituto nazionale del sistema camerale per le ricerche turistiche, in cui i b&b e alloggi privati erano la nuova frontiera delle imprese giovanili e femminili al Sud e in Sicilia, trascinando il commercio locale e nei centri storici dei comuni.
Come cambiano volto i centri storici
Sono sempre meno le attività tradizionali (carburanti -40,7%, libri e giocattoli -35,8%, mobili e ferramenta -33,9%, abbigliamento -25,5%) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie +12,4%, computer e telefonia +11,8%), attività di alloggio (+42%) e ristorazione (+2,3%).
La modificazione e la riduzione dei livelli di servizio nei centri storici rende sempre più preoccupante il fenomeno della desertificazione commerciale delle nostre città: nei 120 comuni al centro dell’analisi, negli ultimi 10 anni, sono sparite oltre 30mila unità locali di commercio al dettaglio e ambulanti (-17%) e la densità commerciale è passata da 12,9 negozi per mille abitanti a 10,9 (-15,3%). Un fenomeno che non dipende se non in minima parte dal calo della popolazione, scesa solo del 2%.
“Se la densità commerciale si riduce del 33% non siamo a rischio di desertificazione ma è, secondo me, desertificazione conclamata. Se metti anche che le banche di alcuni piccoli comuni non hanno più sportelli, abbiamo un problema di disagio sociale che in Francia hanno studiato bene e hanno correlato alle proteste dei gilets jaunes”, osserva il direttore dell’ufficio studi, Mariano Bella, sottolineando il valore sociale del commercio.
I numeri sono importanti, come stiamo per vedere, ma “non va tutto male, cala il numero di negozi – ha concluso Bella – ma il commercio resta vitale e reattivo. Potevamo essere sterminati con tutto ciò che è successo dal 2012 ad oggi”.
Commentando i risultati dell’indagine, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha sottolineato: “prosegue la desertificazione commerciale delle nostre città, un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante. Il commercio rimane comunque vitale e reattivo e soprattutto mantiene il suo valore sociale. Rimane, in ogni caso, prioritario contrastare la desertificazione commerciale con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città. In questa direzione vanno il progetto Cities di Confcommercio e la rinnovata collaborazione con l’Anci a conferma del nostro impegno per favorire uno sviluppo urbano sostenibile e valorizzare il ruolo sociale ed economico delle attività di prossimità nelle città”.