Sul tema delle cure palliative e morte medicalmente assistita una precisazione doverosa arriva da Giorgio Trizzino. fondatore della Samot.
“La Samot, ente del Terzo Settore che da quasi quarant’anni opera con dedizione nel campo delle cure palliative domiciliari, ritiene necessario intervenire in merito all’articolo recentemente pubblicato sul vostro giornale, in cui si riporta la posizione di Samo Onlus sul suicidio assistito e si fa generico riferimento ad “altre organizzazioni simili”, lasciando intendere una presunta comunanza di vedute che, per quanto riguarda la nostra realtà, non corrisponde al vero.
Samot precisa di condividere integralmente la posizione espressa dalla Società Italiana di Cure Palliative (SICP) e dalla Federazione Cure Palliative (FCP), a cui aderisce. Una posizione chiaramente illustrata nel corso di una recente audizione parlamentare, dove è stato ribadito che cure palliative e morte medicalmente assistita costituiscono fattispecie eticamente, clinicamente e giuridicamente distinte, che non possono né devono essere confuse o sovrapposte. Le cure palliative non si oppongono al diritto all’autodeterminazione: semmai, ne sono la premessa fondamentale, perché offrono un contesto di cura competente, umano e rispettoso in cui quel diritto può essere esercitato consapevolmente.
Chi contrappone cure palliative e suicidio medicalmente assistito – come se fossero due soluzioni alternative, una “giusta” e una “sbagliata” – tradisce la complessità del dibattito e, soprattutto, svilisce il senso stesso delle cure palliative. Chi quotidianamente accompagna persone affette da malattie inguaribili sa bene che esistono situazioni di sofferenza estrema, refrattaria a ogni trattamento, in cui nemmeno le migliori cure palliative riescono a lenire completamente il dolore, fisico o esistenziale. È in questi casi che alcune persone, pur assistite con la massima cura e attenzione, arrivano a chiedere di porre fine alla propria vita per motivi legati alla percezione della dignità, dell’identità o della perdita di senso.
Per questo, Samot respinge con fermezza ogni lettura semplicistica o ideologica che riduca la questione della morte medicalmente assistita a un attacco alla dignità umana. È una rappresentazione retorica che nega la pluralità dei vissuti, la complessità dei bisogni e, soprattutto, il diritto della persona a vedere riconosciuta la propria libertà di scelta anche nella fase finale dell’esistenza.
Le cure palliative non sono uno strumento per trattenere la vita ad ogni costo, né una trincea contro la libertà. Sono, al contrario, l’espressione più alta di una medicina che accompagna, sostiene e si prende cura, senza imporre nulla. Offrono possibilità, non imposizioni. Ed è per questo che vanno difese da ogni forma di strumentalizzazione: tanto da chi le ignora e le sottovaluta, quanto da chi le usa come alibi per negare il confronto aperto e laico sul tema del fine vita.
In un momento in cui il dibattito pubblico è particolarmente acceso, rappresentare in modo semplificato una questione tanto delicata non solo impoverisce il confronto, ma rischia di oscurare quel principio fondamentale di autodeterminazione che deve sempre orientare ogni riflessione.
A distanza di quattordici anni dall’emanazione della Legge 38 del 2010, resta inaccettabile che permangano gravi disomogeneità territoriali che compromettono l’accesso alle cure palliative, le quali costituiscono un livello essenziale di assistenza da garantire a ogni cittadino, in ogni parte del Paese. È su questo fronte che società civile e istituzioni dovrebbero concentrare le proprie energie, affinché nessuno sia mai costretto a considerare soluzioni estreme per la mancanza di un’adeguata risposta assistenziale.
Va infine ribadito che, come qualsiasi trattamento sanitario, anche le cure palliative non possono essere imposte. Accanto al diritto di accedervi, esiste l’altrettanto inviolabile diritto di rifiutarle o interromperle, nel rispetto pieno della volontà individuale.
Samot resta a disposizione per ogni ulteriore chiarimento, nella convinzione che solo un approccio rispettoso della complessità, dei vissuti personali e delle diverse visioni possa onorare davvero la dignità e la libertà di ciascuna persona. Difendere le cure palliative significa proteggerle dalla marginalità e dall’uso ideologico, restituendole al loro compito originario: essere accanto, fino alla fine, con rispetto e ascolto. Anche quando la voce della fragilità chiede, con lucidità e dolore, di essere lasciata andare”.