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Scrivere e raccontare per rintracciare le proprie radici, quelle familiari e non solo.
In “Tripolis“, opera di Dario Muratore, autore e interprete, c’è questa necessaria ricerca che, attraverso la messa in scena teatrale prima e adesso anche nella forma di un libro, edito da Torri del Vento, richiama al presente interrogativi del passato riscoprendo memorie significative ed esplicative che si ricollegano alla storia contemporanea.
Ad un anno dal debutto sulle scene il testo dello spettacolo è diventato opera letteraria, che verrà presentata al Teatro Garibaldi mercoledì 16 ottobre ore 18,30, al fianco dell’autore anche Guido Valdini, Filippa Ilardo e Beatrice Monroy, e mette nero su bianco, attingendo alla forma narrativa propria della Sicilia, il cuntu e il dialetto, questo legame nonna/nipote, unico canale possibile per accedere alla storia di un’intera famiglia ma anche di un’epoca.
È nonna Maria l’unica che può assolvere al desiderio di Carmelo, quel nipote un po’ irrequieto che cerca la verità, che è “stanco di questo imbroglio” lasciato alla dimenticanza. “Nonnù, nonnuzza bella, questa è la mia grande occasione: da giovane posso diventare signore“.
Pronta la risposta di Maria che saggiamente comincia un racconto con l’immagine del cuscus, metafora delle relazioni umane perché per crescere “un cocciu s’ava incucciari c’un’avutru cocciu“.
Parte da qui il percorso a ritroso in cui si ripercorrerà un secolo di vita, di storia, di morte ma soprattutto d’incontro tra due identità, nella colonia italiana di Tripoli, in quella del colonizzatore e del colonizzato, quella italiana e quella araba, che si ritrovano a condividere una terra, una città, un deserto. Due anime e uno stesso dolore.
L’ultima prospettiva del racconto, con tutte le sue implicazioni anche, è il ribaltamento della situazione politica restituendo agli indigeni, gli arabi, la loro supremazia sugli italiani, divenuti “ajsnabi“, stranieri.
Sogno e mistero, come sottolinea nella prefazione di Tripolis Stefano Randisi, si mescolano rendendo un’incarnazione della scrittura scenica emozionante e lirica a tratti.
Sono inoltre frammenti di documenti originali dell’epoca e fotografie a raccontare, tra il dialetto siciliano e la lingua araba, a cui sono dedicati due glossari curati da Sara Calvario, di trame sì familiari ma in generale “umane” che, fatalmente, risultano di straordinaria attualità.
Il libro, infine, si arricchisce anche dei contributi di Vincenza Di Vita (Come custodire una stella in mano ovvero sogno e gioco nella poetica di Dario Muratore) e del giornalista svizzero-tedesco Renè Ammann (Rimedi Scaduti).