CATANIA. La posizione della corda, il tipo di nodo al cappio, la presenza di sangue della vittima, del suo presunto omicida e di un ‘ignoto 1’ maschio, oltre alla traiettoria degli schizzi ematici permettono di escludere il suicidio.
È quanto hanno affermato gli esperti dei carabinieri del Ris deponendo nel processo a Nicola Mancuso, 32 anni, per l’omicidio di Valentina Salamone, la 19enne trovata morta il 24 luglio del 2010 in una villetta di Adrano. La Corte d’Assise ha aggiornato il procedimento al prossimo 8 febbraio per il contro esame del maggiore Romano, del capitano De Luise e del maresciallo Spitaleri.
Secondo i militari dell’Arma la scena del delitto sarebbe stata manomessa per simulare un suicidio. Nel procedimento sono presenti come parti civili i genitori e i fratelli della vittima, assistiti dall’avvocato Dario Pastore, e le associazioni Thamaia e Telefono rosa. Per il caso in un primo momento era stato chiesta l’archiviazione, ritenendolo un suicidio, ma la Procura generale di Catania ha avocato a sé l’inchiesta e dopo perizie dei carabinieri del Ris, che hanno ritenuto di avere trovato tracce di sangue dell’uomo sotto le scarpe della giovane, ha chiesto il processo per l’imputato, che è stato rinviato a giudizio il 19 ottobre del 2016 dal Gup Marina Rizza. Mancuso, che è sposato ed aveva avuto una relazione con la vittima, si è sempre proclamato innocente.
L’uomo fu arrestato il 4 marzo del 2013 e scarcerato il 28 ottobre successivo dal Tribunale del riesame. Attualmente è detenuto per traffico di droga, reato per cui e’ stato condannato in secondo grado a 14 anni di reclusione. Sentenza diventata esecutiva dopo l’intervento della Cassazione ed acquisita agli atti del processo.