Il nostro racconto, oggi, non si srotola attraverso un luogo, ma seguendo la “scia” di un profumo, quello della “Zagara”, che ci conduce nella nostra isola delle meraviglie. Facciamo nostre le parole della scrittrice statunitense Helen Keller in quanto racchiudono tutta la malìa che una fragranza può produrre in ognuno: “I profumi sono dei potenti maghi che possono trasportarvi attraverso gli anni che avete vissuto”. Il nostro scopo è proprio quello di accompagnarvi in una Sicilia che è stata, è e sarà grazie a questo effluvio che la avvolge e la identifica. Pronti per partire alla volta dell’inebriante profumo di zagara?
La Zagara tra etimologia e leggende
Furono gli arabi ad introdurla per primi nel Mediterraneo, importandola dall’antica Cina e, infatti, la sua etimologia deriva da “zahara”, splendere di bianco, e “zahr”, fiore. I suoi boccioli sono bianchi e delicati, simbolo di nozze e fertilità, e se vi doveste trovare in un agrumeto in Sicilia vi troverete a partecipare a una festa dei sensi, perché oltre ad essere inebriati dal suo profumo, i vostri occhi ne accarezzeranno la rassicurante tonalità bianca, vivacizzata dal verde intenso delle foglie, naturale toccasana per l’umore. Sarà per queste sue proprietà che è stato scelto come emblema del matrimonio?
Ecco farsi strada, a tal proposito, un’antica leggenda che ha per protagonista un non identificato re di Spagna che, ricevuto in dono un albero di arancio, entusiasta, lo volle piantato nel giardino del castello per poterne godere la vista e il profumo da qualsiasi parte del maniero si trovasse. Il sovrano, però, vedendolo crescere, sempre più orgoglioso della sua bellezza e sempre più geloso, cominciò a temere che qualcuno potesse chiedergliene anche un solo un rametto, cosa che avvenne come quasi tutte le profezie auto-avveranti. Un giorno, un ambasciatore in visita al castello, passando dal giardino, rimasto ammaliato da quella meravigliosa e profumata infiorescenza gliene chiese un ramoscello, ricevendo un netto, scortese e incomprensibile rifiuto; ma il delegato, volendo ottenere a tutti i costi il desiderato fiore, aggirando l’ostacolo “regale”, corruppe, con cinquanta monete d’oro, il giardiniere di corte che, con quella somma, poté assicurare la dote e, di conseguenza, un marito alla propria figlia. Il giorno delle nozze, la ragazza, raggiante come il sole, decise di adornare i suoi lunghi capelli corvini con un ramoscello di fiori d’arancio per omaggiare quella profumata e delicata pianta che le aveva cambiato la vita. Da quel momento in poi il fiore di zagara venne associato al matrimonio. Con un’altra leggenda, invece, varchiamo la porta del mito e, questa volta, ad aspettarci sono tre ninfe, Egle, Aretusa ed Espera, figlie di Atlante e della Notte, custodi, in gran segreto, di un meraviglioso albero profumato chiamato arancio, donato da Gea a Zeus nel giorno delle sue nozze con Hera.
Tornando al presente, vogliamo riportarvi, a dimostrazione di come questo fiore sia inscritto nel nostro DNA e il suo profumo ci riconduca in Sicilia, un verso del brano “Lo Stretto necessario” di Levante, che autrice assieme a Colapesce e Dimartino, lo canta con Carmen Consoli: “Dolce come la Zagara, la via del ritorno”.
Curiosità
Una curiosità che ci ha colpito è uno studio dell’Università del Cairo al-Azhar e di alcuni studiosi della cabala ebraica che, riguardo la scelta dell’abito bianco per andare all’altare, hanno addotto come motivo, la parola “splendore”. Infatti, lo Sefer ha-Zohar, o più semplicemente “Zohar, un testo molto importante per gli iniziati alla disciplina mistica ebraica, è “Il libro dello splendore” che è contenuto, peraltro, nel nome dell’università cairota “al- Azhar“, col significato di “La Luminosa”. La lucentezza delle spose, quindi, più che al momento di gioia, sarebbe legato alla bellezza semplice e chiara dei fiori d’arancio presenti nel bouquet o in una corona che, poggiando sul capo, trattiene il velo. Nel vocabolario di lingua araba, d’altronde, le parole collegate alla radice z – h – r appartengono al campo semantico della fioritura, della prosperità, della radiosità, caratteristiche reali e metaforiche della zagara che diventa, così, propiziatrice di fortuna.
Passando al nostro meridione, un tempo, in primavera, le giovani spose avevano l’usanza di adornarsi con questi fiorellini bianchi e odorosi di cui vi era grande abbondanza e da cui nasce la locuzione “fiori d’arancio”, diventata sinonimo di “matrimonio”.
Chiudiamo con l’aforista Fabrizio Caramagna e il suo: “Mi piacciono i profumi che hanno una storia da raccontare. La storia di un corpo, ma anche la storia dei cieli, dei venti e dei sogni che hanno visitato quel corpo”. Il nostro, che siamo affetti da “sicilitudine”, per dirla alla Sciascia, o “isolitudine”, alla Bufalino, è quello del fiore di cui, oggi, anche se virtualmente, vi abbiamo omaggiato.