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Due giochi alcolici della tradizione siciliana: il Cottabo e ‘U Toccu

giovedì 1 Agosto 2019

Il cottabo, uno dei giochi più apprezzati dagli antichi greci, venne concepito in Sicilia. Infatti, gli inventori furono i siculi, i quali amavano praticarlo alla fine del pranzo. Intorno al VI secolo a.C., i coloni greci sicelioti, iniziarono a far proprio il cottabo, rimanendone affascinati e introducendolo nel simposio, tanto adorato dai ceti aristocratici, gli unici a potervi partecipare. Il cottabo, assorbito dai greci di Sicilia, si diffonderà rapidamente nell’intera area culturale greca, venendo praticato soprattutto tra VI e III secolo a. C.

Ma in cosa consisteva il cottabo? Esistevano due versioni: il cottabo “classico” (senza acqua) e il cottabo con l’acqua. Nel primo caso, il giocatore-commensale doveva lanciare le gocce di vino rimanenti sul fondo della propria coppa, cercando di colpire dei piattelli (piccoli piatti) sulla sommità di un’asta in bronzo o ferro di lunghezza variabile (spesso di 1,80 m). Quindi, l’obiettivo era far cadere i piattelli che sarebbero stati raccolti da piattelli più grandi, collocati a mezz’asta e tenuti da un anello di fissaggio. Nel secondo caso, invece, il commensale doveva cercare di colpire, sempre con il vino rimanente nella propria coppa, i piattelli o altri oggetti, ad esempio dei piccoli vasi, galleggianti in una grande bacinella riempita d’acqua fino quasi all’orlo. In questo caso, lo scopo era affondare il numero maggiore di piattelli o oggetti.

I giocatori rimanevano su un lettino, in posizione quasi sdraiata sul fianco sinistro, afferrando il manico dellakylix, coppa tipica dei riti simposiaci, con l’indice e appoggiandone la base sul polso o sul dorso della mano. Il getto delle gocce di vino richiedeva grande destrezza, sicurezza e precisione, un gioco sicuramente divertente ma anche parecchio difficile. Il cottabo aveva una valenza sacrale e augurale, infatti, il vino lanciato dalla coppa ricordava i riti in onore degli dei effettuati con il versamento della bevanda di Dioniso per terra.

Ma il successo di tale gioco, oltre ad avere evidentemente anche un significato agonistico, risiedeva soprattutto nella sua dimensione erotica. Infatti, il commensale che si apprestava a colpire i piattelli, spesso, invocava il nome della persona desiderata a cui dedicava il lancio e dalla quale, in caso di vittoria, si attendeva come ricompensa delle prestazioni sessuali. Inoltre, ricordiamo che potevano prender parte al cottabo anche le etere, le uniche donne che, nel mondo greco, potevano avere una vita pubblica, gestire liberamente il proprio patrimonio e partecipare ai simposi. Esse, oltre ad essere abili nelle pratiche sessuali erano anche in grado d’intrattenere dotte e interessanti conversazioni, infatti, ricevevano una buona istruzione ed erano dotate, oltre che di spiccate capacità fisiche, anche di capacità intellettuali e artistiche, essendo in grado di dipingere, suonare e danzare. Ovviamente, durante il cottabo, anche l’omosessualità era largamente praticata e pacificamente accettata, pertanto i riti simposiaci contribuiranno ad istituzionalizzare, socialmente, i rapporti tra lo stesso sesso.

Un altro gioco alcolico, praticato in Sicilia, è “il tocco”, che influenzato dal simposio, si è sviluppato, inizialmente, presso i romani, conoscendo anche una versione siciliana, denominata ‘u toccu, tuttora praticato. Ma di cosa si tratta? In pieno Ottocento, Antonino Traina, nel suo vocabolario siciliano-italiano, definisce ‘u toccu con queste parole “giuoco plebeo che consiste nel disporre e bere del vino messo in giuoco, con inviti e diritti secondo regole”. Infatti, si tratta di un gioco di società che prende spunto e ispirazione dalle attività ludiche effettuate con il vino nei simposi. Solo da questo punto di vista, ‘u toccu, può essere considerato una forma simposiaca. Dei simposi mancano completamente tutti quegli aspetti sacrali, cerimoniali, religiosi tipici degli usi greci, oltre alla mancanza della dimensione intellettuale.

‘U toccu, che in origine aveva luogo nelle bettole, osterie siciliane di infimo rango, prevede che i convitati, attraverso la conta delle dita designino il re du ‘toccu, cioè ‘u patruni, che diventa signore assoluto del vino potendone bere quanto ne desidera e con l’aiuto e il consenso du suttupatruni, decide chi deve bere, quanto e come. Inoltre, la giocata può essere accompagnata da scherzi di vario genere, espressioni sarcastiche e pungenti, e soprattutto in passato, da canti popolari ma anche dal suono della chitarra, del mandolino o della fisarmonica.

In conclusione, possiamo dire che il cottabo e ‘u toccu hanno percorso, da un certo punto di vista, due strade completamente opposte: infatti, il cottabo nacque in Sicilia, fu concepito da una popolazione indigena dell’Isola, cioè i siculi e tale fu il successo da riuscire a diventare uno dei passatempi preferiti dell’aristocrazia greca durante il simposio, assumendo dimensione sacrale ed erotica. Simposio che ricordiamo essere uno dei riti sociali più importanti e amati dai nobili dell’antica Grecia. Invece, al contrario, ‘u toccu nasce dal simposio, prendendolo a modello, sviluppandosi in forme marcatamente volgarizzate e popolari e diffondendosi in varie regioni, tra cui la Sicilia, fra i ceti umili. Ma al di là di queste forti differenze, il cottabo e ‘u toccu, nascono entrambi dal piacere della convivialità, dello stare insieme, del divertirsi e anche del ciarlare, tutto ciò favorito, ovviamente, dal vero e proprio protagonista: il vino, ottimo amico per abbassare i freni inibitori e rendere le serate più allegre.

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