Duro colpo alla rete di favoreggiatori di Matteo Messina Denaro.
La polizia di stato, già dalle prime luci dell’alba, sta conducendo un blitz mirano a smantellare la rete di criminalità organizzata nelle province di Trapani e Caserta.
L’OPERAZIONE
La squadra mobile di Trapani, su delega DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) di Palermo, sta eseguendo perquisizioni ed arresti nei confronti di alcuni complici del boss di Cosa Nostra.
Sono quindici al momento le persone indagate. Fra i reati contestati, quelli di associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi e favoreggiamento della latitanza di Messina Denaro. E’ stata inoltre setacciata l’abitazione di Castelvetrano, residenza anagrafica del boss della mafia.
In contemporanea, la squadra mobile di Caserta sta eseguendo numerosi fermi nei confronti di esponenti del sodalizio criminale con a capo un ex cutoliano. L’uomo è attuale reggente del clan dei Casalesi nell’agro Teano. Fra gli arrestati, nell’operazione in Campania, anche il referente di zona del clan “Papa”.
L’INDAGINE
L’indagine, denominata “Ermes Fase 3”, ha svelato che gli indagati erano collegati ai mandamenti mafiosi di Mazara del vallo e Castelvetrano. Le attività investigative hanno fatto luce sugli interessi economici e i rapporti fra gli affiliati all’interno delle cosche.
Nel corso di incontri riservati e attraverso lo scambio di “pizzini” si decidevano estorsioni, la compravendita di fondi agricoli e la gestione di lavori pubblici. L’indagine ha dimostrato anche l’intestazione fittizia di beni riconducibili a mafiosi e l’intervento dell’organizzazione per risolvere questioni economiche fra soggetti vicini alle “famiglie”.
Gli investigatori hanno accertato in particolare che le decisioni in merito ad alcune estorsioni venivano assunte su indicazione diretta di Matteo Messina Denaro.
I PIZZINI
Dalle attività investigative è emerso inoltre che alcuni degli indagati hanno fatto parte della “rete” nel circuito di comunicazioni finalizzate alla trasmissione dei “pizzini” del latitante. Sono intervenuti nella risoluzione dei conflitti interni alla cosca e hanno partecipato a incontri riservati con altri esponenti di vertice delle famiglie mafiose.
Inoltre, sono state documentate le pressioni estorsive esercitate su un agricoltore marsalese, al fine di costringerlo a cedere un appezzamento di terreno, che invece avrebbe voluto acquistare per se.
Le indagini hanno fatto luce anche sui contrasti fra uno degli indagati mafiosi e alcuni imprenditori agricoli e allevatori e sugli incontri tra mafiosi finalizzati a ricercare una soluzione. L’intervento di “cosa nostra” era essenziale anche per risolvere dissidi per l’utilizzo di alcuni fondi agricoli e per il pascolo nelle campagne di Castelvetrano.
Attraverso alcune intercettazioni è stato infine scoperto anche un tentativo di estorsione nei confronti degli eredi del defunto boss mafioso di Campobello di Mazara, affinchè cedessero la proprietà di un vasto appezzamento di terreno appartenuto al boss Salvatore Riina. Le minacce dalla cosca mafiosa furono avallate anche da una lettera intimidatoria attribuita al latitante Matteo Messina Denaro, risalente al 2013.