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Ecco perchè il voto subito conviene anche a Pd e 5 Stelle

sabato 24 Agosto 2019
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Sul fatto che qualora si votasse in autunno, molti attuali parlamentari del Pd e dei 5 Stelle andrebbero irrimediabilmente a casa non vi sono dubbi. Appare, dunque, oltremodo scontato comprendere il perchè numerosi deputati e senatori di queste due forze politiche stiano tentando il tutto per tutto per stringersi in un’alleanza di governo, pur di allontanare lo spettro delle urne.

Tuttavia, se è comprensibile come un insieme di motivazioni di natura personale giustifichino un’ipotesi di esecutivo M5s + Partito Democratico, quando si passa alle ragioni politiche, sorgono non pochi dubbi nel pensare a una simile intesa. E a ben guardare, astraendosi un attimo dall’attuale crisi, ma guardando ad interessi più generali (quelli del Paese), fare un governo assieme sarebbe un suicidio politico in queste condizioni, sia per i 5Stelle che per i Dem. Non tanto e non soltanto perchè diversi sono gli ideali di riferimento e le soluzioni proposte, in quanto in tal caso mettersi d’accordo su pochi punti programmatici è pur sempre possibile. Quanto per gli effetti politici, che sarebbero disastrosi, comportando in pochi mesi un’ulteriore crescita esponenziale delle forze sovraniste (Lega e Fratelli d’Italia) che avrebbero gioco facile nel minare ogni centimetro percorso dal nuovo eventuale governo giallo-rosa.

Indicativo è, a questo proposito, come nei giorni scorsi la nascita di un governo che allontani il voto sia stata motivata sia da Matteo Renzi che da Luigi Di Maio con il medesimo mantra “servirà ad evitare l’aumento dell’Iva”.

— Movimento 5 Stelle —

Vero è che con le elezioni anticipate il Movimento 5 Stelle perderebbe punti percentuali e seggi rispetto alle scorse elezioni Politiche nelle quali aveva ottenuto un ragguardevole e storico 32 per cento. Tuttavia, in tal caso il M5s potrebbe dar vita a una battagliera campagna elettorale (come espresso da Alessandro Di Battista), mettendo in campo tutti i tradizionali cavalli di battaglia grillini, dal reddito di cittadinanza al taglio dei parlamentari, e recuperando inoltre anche qualche punto perso per strada, sventolando la bandiera del premier dimissionario Giuseppe Conte che ultimamente è cresciuto nel gradimento degli italiani.

Insomma, se si andasse a votare, il M5s farebbe egregiamente la propria parte, recuperando quel ruolo di forza gagliarda e “antisistema” ultimamente un po’ appannato e presentando un programma di governo omogeneo da proporre al Paese. Se, invece, lo stato maggiore grillino si accollasse adesso un governo con il Pd, dovrebbe spiegare ai propri elettori come sia stato possibile che coloro che fino a ieri erano i membri di quello che per i grillini è il “Partito di Bibbiano” siano oggi diventati gli alleati di governo. Un’alleanza, peraltro, che dovrebbe essere siglata soprattutto con i renziani, visto che i parlamentari del Pd attualmente in carica sono in stragrande maggioranza fedelissimi dell’ex premier.

Effetto: occorrerebbe giustificare al popolo 5 Stelle che il Movimento si è reso responsabile della riesumazione di “fantasmi politici” che si ritenevano estinti, quali lo stesso Matteo Renzi o Maria Elena Boschi, o Luca Lotti, o Davide Faraone, che, una volta riesumati, vengono anche mandati a governare l’Italia. Un’alleanza con quelli che i grillini bollavano come salvatori delle banche a scapito dei cittadini, quelli dello spread, degli ossequi all’Unione europea, Francia e Germania in testa, del business dell’immigrazione a tutti i costi, del referendum costituzionale bocciato dagli italiani e di molti altri provvedimenti non proprio cari al popolo pentastellato.

In pochi mesi di governo, il Movimento 5 Stelle crollerebbe ai minimi storici, reo di essersi alleato prima con la Lega appiattendosi in più di un’occasione sulle politiche salviniane, e poi con il Pd renziano, considerato da molti 5Stelle peggio della peste.  Un governo in queste condizioni sarebbe, perciò, la morte politica e di consensi del M5s. Insomma, dallo slogan dell’uno vale uno, si passerebbe a uno vale l’altro pur di mantenere poltrona, privilegi e stipendio parlamentare.

Ed è per questo che fra i due mali, quello minore è proprio un ritorno alle urne, da gestire mediante una campagna elettorale libera da condizionamenti.

— Partito Democratico —

Un governo con i 5 Stelle rappresenterebbe una pietra tombale sul nascere per qualsiasi processo di rinnovamento del partito da parte del neosegretario Zingaretti. Infatti, numeri alla mano, l’accordo vedrebbe in un ruolo di protagonisti i renziani che riacquisterebbero così linfa vitale: l’esecutivo con Luigi Di Maio sarebbe un’iniezione di ossigeno insperata per l’ex presidente del consiglio. Ma le lacerazioni nel Pd diverrebbero veri e propri crepacci, inaugurando una nuova stagione di veleni interna al mondo Dem. Con la conseguenza, peraltro, che, nei fatti, Nicola Zingaretti ne uscirebbe come un segretario commissariato e dunque, dai poteri più che dimezzati. La sua elezione alla guida del Pd sarebbe stata del tutto inutile.

Inoltre, sarebbe un governo tenuto per le palle (scusate il francesismo) da Matteo Renzi, da far cadere all’occorrenza con tempi e modalità che potrebbe a quel punto decidere liberamente lui. Per poi eventualmente, al momento giusto, sfilarsi dallo stesso partito per dar vita a una “cosa” moderata, strizzando l’occhio a post-berlusconiani e altri soggetti in cerca d’autore.

Per non parlare delle conseguenze d’immagine che avrebbe un governo con gli odiati grillini, che fino a ieri governavano con l’odiatissimo Salvini. Il Pd dovrebbe ingoiare il boccone amaro del “reddito di cittadinanza”. E vaglielo a spiegare agli elettori Dem, a cui è stato detto che questo provvedimento era sbagliato perchè non creava lavoro ma solo assistenzialismo.

Nell’ipotesi in cui invece si vada al voto, Zingaretti anche nella composizione delle liste imprimerebbe di certo al partito quella svolta politica e quel voltare pagina rispetto al passato, in grado di far restare il Pd in salute, come appare da tutti i sondaggi che hanno premiato fino ad ora il rinnovamento impresso dal neosegretario. Il quale ovviamente, completerebbe la propria azione politica, candidando esponenti del partito a lui vicini, liquidando lo stato maggiore renziano e potendo aprire così a quel mondo della sinistra (da Leu, ai sindacati, Cgil in testa) che attende che il Partito Democratico pronunci “qualcosa di sinistra”.

Peraltro, le elezioni anticipate servirebbero anche al Pd per rilanciare l’azione politica sui programmi, facendo leva su temi e politiche di sostegno al lavoro, allo sviluppo e all’impresa, di cui in Italia c’è forte bisogno. Temi cari a un redivivo centrosinistra, che potrebbe ripartire da qui, per proporre agli italiani una propria ricetta di governo.

 

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