Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi sono i vincitori del premio Nuovi Linguaggi – Città di Palermo alla 39esima edizione dell’Efebo d’oro.
Celebrati in tutto il mondo con mostre retrospettive e premi, la loro produzione artistica è veramente consistente e comprende installazioni in Italia alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, al Mart di Rovereto, all’Hangar Bicocca e al Museo del Cinema di Torino, all’estero in Francia, Spagna, Stati Uniti, Inghilterra, Svizzera, Olanda, Belgio.
Ha scritto Marco Belpoliti in occasione di una recente retrospettiva a loro dedicata a Milano: “Gianikian e Ricci Lucchi hanno fotografato e animato l’inconscio stesso della cultura occidentale; l’hanno trasformato in un elemento fisico, il film, visibile lì, davanti a noi. Non l’inconscio singolo, ma quello collettivo; il rimosso dell’intera cultura occidentale con i suoi fantasmi scorre su quegli schermi”.
Considerati tra gli artisti visivi più influenti del nostro tempo, lavorano da oltre quarant’anni come archeologi sulle tracce-immagini da cogliere nella loro ambivalenza e hanno creato un cinema personalissimo, poetico e analitico.
Esplorano gli archivi di tutto il mondo per rifilmare vecchie pellicole, film scomparsi o non più disponibili, i cui fotogrammi vengono ingranditi, reinquadrati, rallentati colorati e rimontati secondo logiche inedite.
Li abbiamo intervistati durante l’incontro che si è tenuto al teatro Garibaldi, sede temporanea di Manifesta 12.
– Più di quarant’anni di attività nel panorama artistico internazionale: come definireste il linguaggio con cui avete comunicato il vostro personalissimo modo id fare arte?
Ricci Lucchi: “Prima di tutto ci definiamo fortemente resistenti nel perseguire il nostro lavoro un pò sempre contro corrente e di sicuro libero. Ci hanno commissionato dei film negli anni ma ci hanno lasciati sempre liberi di creare”.
– La libertà che praticate trova riscontro in un lavoro artistico che, visto oggi, risulta sempre di estrema attualità. Avete mai pensato, allora, che le vostre opere fossero troppo in anticipo rispetto ai tempi per essere compreso fino in fondo?
R.L.: “Era fortemente in anticipo infatti anche gli americani era sbalorditi del nostro tipo di lavoro poi molto imitato anche ; Harrold Zemann che era un grande curatore aveva visto “Dal polo all’equatore” nel ’89 e aveva detto che non vedeva niente di più vicino all’arte che quel lavoro mai poi ci invitò solo nel 2001 alla Biennale di Venezia” (ride).
– Qual è la marcia in più nel lavoro di coppia?
R.L. “Non ci si scoraggia mai, ci sono dei momenti duri nella vita di un artista, essere in due aiuta dal punti di vista pratico e poi ognuno apporta la propria cultura, il proprio punto di vista, la sua formazione. Per noi è stato molto importanti condividere una prospettiva comune con una grande sintonia immediata”.
– L’introduzione di internet, della realtà virtuale come ha influenzato la vostra attività artistica?
Gianikian: “Io sono l’uomo della pellicola quindi per me è stato molto difficile accettare questo passaggio; ho continuato anche oggi a lavorare con la pellicola, tutti possono filmare ma noi possiamo farlo ancora con i nostri mezzi o con un pezzo di pellicola. Oggi i nuovi supporti permettono metodi più facili di proiezione dei lavori. I nostri film sulla guerra hanno avuto due milioni di visualizzazione; è la testimonianza concreta per noi che il lavoro che facciamo è apprezzato”.
R.L.: “Il mondo cambia e tu non ti puoi formare”.
– Durante l’incontro avete detto che “l’arte non si insegna”; come possiamo dire che si trasmetta l’arte secondo voi?
G.: “L’arte si prende per irradiazione, poi uno sa fare con la mano o con la testa ma alla fine è il contatto fisico con l’arte che conta”.