“L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire“. Chi passa davanti al Teatro Massimo di Palermo non può non essere colpito da questa frase che sintetizza tutta la potenza dell’atto artistico.
Con una legge in merito al pubblico spettacolo del 1974 fu obbligatorio far uscire dai teatri tutti quei laboratori tecnici che concorrono alla realizzazione e all’allestimento della scena.
Anche il Teatro Massimo si adeguò, ovviamente, alle nuove disposizioni e, per comprendere le varie fasi di lavoro, siamo andati a scoprire l’attività del “cuore pulsante più forte” del Teatro, come lo ha definito il sovrintendente Francesco Giambrone, ovvero il laboratorio scenografico che ha sede tra distese di aranceti a Brancaccio.
Il Massimo è uno dei pochi teatri italiani che ancora può vantare uno spazio, così grande e valido, personale di “creazione artigianale” dove, quotidianamente, operano maestranze che sperimentano la tradizione e l’innovazione tecnica.
I locali sono suddivisi in tre reparti: attrezzeria, macchinisti/costruttori e scenografia.
Più o meno l’allestimento di un’opera impiega circa tre mesi di tempo; al momento della nostra visita il laboratorio è impegnato nella realizzazione del “Rigoletto”, opera in tre atti di Giuseppe Verdi, che debutterà ad ottobre con la regia di John Turturro.
Visitare i laboratori scenici, dove siamo stati travolti dalla grande passione con cui gli artigiani svolgono i “mestieri del teatro“, è un’occasione eccezionale per scoprire la vastità e l’eccezionalità di questo mondo che, a Palermo, unisce arte, cultura e artigianato.