Domenico Lo Iacono – alias Mimmo Panella – si tiene stretto quel filo di speranza di vedersi cancellare la condanna a nove anni per l’estorsione al costruttore Francesco Sanfratello. La seconda sezione della Corte Suprema presieduta da Piercamillo Davigo ha accolto le tesi degli avvocati Antonio Turrisi e Raffaele Bonsignore e così il processo torna in appello. Potrebbe esserci una questione tecnica, dietro l’annullamento da parte dei giudici di legittimità.
In primo grado, infatti, Lo Iacono era stato scagionato perché le accuse dell’imprenditore vittima dell’estorsione erano state ritenute inutilizzabili. Diversamente, in secondo grado, le stesse dichiarazioni erano entrate nel processo a pieno titolo così da condannare Lo Iacono “Panella” per l’estorsione ma anche anche per favoreggiamento a Cosa nostra.
I pagamenti del pizzo che Sanfratello sarebbe stato costretto a sborsare per una decina di anni, sarebbero stati intascati da Tommaso Lo Presti, detto il Pacchione, uno dei capi del mandamento di Porta Nuova.
L’imprenditore era socio della Sanfratello Costruzioni e si era costituito parte civile: per anni aveva taciuto, con investigatori e inquirenti, benché i taglieggiamenti fossero iniziati a ridosso del 2000, quando gestiva alcuni cantieri nel centro storico. Dopo la cattura dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo nel novembre del 2007 e il ritrovamento di un pizzino con il suo nome si era presentato agli investigatori.
Assistito dall’associazione Addiopizzo, l’imprenditore aveva in un primo momento sostenuto di essersi rivolto ad Andrea Gioè, uomo ritenuto vicino ai boss Lo Piccolo, per «mediare» e concordare il pizzo. Poi però aveva indicato Panella come tramite per il pagamento delle tangenti, 50 milioni di vecchie lire e poi migliaia di euro per ogni cantiere. Lo Iacono, secondo l’accusa, dopo alcuni danneggiamenti da lui subiti, avrebbe consigliato a Sanfratello di rivolgersi a Lo Presti.