Se l’Ars avesse accantonato per ogni volta che si è occupata di ex Province dal 2013 a oggi una cifra pro-capite da parte di ogni deputato, oggi forse gli enti di area vasta, commissariati da 4 anni, non avrebbero debiti.
«Il passato è finito» diceva Crocetta quando incontrava i cronisti a inizio legislatura. Ci credeva con la solida e indiscussa onestà intellettuale che lo ha sempre caratterizzato.
Il profilo di governo però è stata un’altra cosa.
Anche per questo il parlamento siciliano ha potuto, a 100 giorni dalla fine della legislatura, sovvertire l’ordine delle cose. Dire che non solo il passato non è finito, ma che è stato sbagliato cambiarlo.
La commissione Affari istituzionali infatti ha approvato ieri il disegno di legge che prevede il ritorno dell’elezione diretta per i presidenti e i consiglieri di Liberi consorzi e Città metropolitane. Un voto ampio e convergente che ha riunito quasi tutte le forze del parlamento siciliano.
Le elezioni ‘di secondo livello’ non ci saranno. Manca ancora la ratifica dell’Aula, ma se il testo passerà l’esame dell’Ars, le cose torneranno al loro posto.
Tranne per il fatto che gli enti sono in dissesto, sono stati tenuti fuori dal piano di riparto da un governo nazionale che ha giocato sporco, non fanno manutenzione straordinaria della viabilità da otto e anche nove anni, e non hanno potuto procedere alla stabilizzazioni dei lavoratori socialmente utili e dei precari, spesso perché privi della sufficiente copertura finanziaria.
Chi calcola oggi i danni? Chi mette insieme i cocci? È stata una presunzione irreversibile da parte del governatore siciliano provare a destrutturare un sistema, quello delle Province, che non presentava più lati critici di un qualsiasi gruppo di sottogoverni, oppure il campo delle responsabilità va allargato a chi in quattro anni, ha preso parte, più o meno consapevolmente a questi balletti?
La prima volta che Crocetta affidò a un ‘gruppo di studio’ il differimento dell’elezione delle Province era il 24 gennaio del 2013.
SuperSaro aveva già cominciato da qualche mese a covare l’idea di anticipare tutti in Italia e annunciò a Giletti in televisione l’abolizione degli enti in questione. Il resto è solo una successione nota di sovrapposizioni, strafalcioni, correzioni, impugnative, redazioni di nuovi testi, per essere, dopo quattro anni, al punto di partenza senza passare dal via.
Va detto che sulla riforma delle Province da dare in pasto come ‘calmante’ alla protesta uniforme dei 5stelle sugli sprechi della politica, il primo a incartarsi fu Mario Monti. La Corte Costituzionale stabilì nell’estate del 2013 che non era possibile affrontarla a colpi di decreti legge.
Un percorso a ostacoli quello della riforma. Le maggioranze variabili, i salti e i voli pindarici, le scelte contraddtitorie di chi ha lucrato sopravvivenza e agibilità politica in questi anni, appoggiando saltuariamente Crocetta e il suo governo, hanno fatto il resto.
A onor del vero fu Musumeci in diverse occasioni a ribadire la necessità di una diversa riforma degli enti di area vasta, con l’elezione diretta. Oggi, a quanto pare, e salvo sorprese lo dicono tutti, o quasi.
Il prezzo politico delle contraddizioni di solito si paga nell’urna, a volte si sconta a rate, con una crescente sfiducia e un disamore contagioso. A volte viene condonato.
Eppure qualche punto di penalizzazione a governo e parlamento sulla vicenda della riforma delle Province, oggi Liberi consorzi, ci starebbe tutto.