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Fantozzi! Evviva la meritocrazia

venerdì 29 Ottobre 2021

Carissimi

Quando entrò in casa mia quel libro lo lessi tutto d’un fiato rimanendone affascinato, guardando a quelle vicende impiegatizie con tanto divertimento. Il ritrovarlo sullo schermo nell’interpretazione del suo autore che trovò il coraggio di cambiar vita, prendendo le distanze da un ambiente così lontano dalle speranze di un giovane sognatore mi metteva tanta allegria.

Ma quando un personaggio diviene icona di uno status e esso stesso un aggettivo per intendere una condizione, penso proprio che l’intenzione dell’autore di ironizzare su un ambiente ben conosciuto e oggi guardato dal di fuori, aveva raggiunto lo scopo.

Il giorno in cui anche nella mia vita si profilò accidentalmente l’occasione di finire dietro una scrivania per uno dei tanti dimenticato concorso per titoli il mio allora datore di lavoro mi disse in maniera disarmante: “andrai a fare il Fantozzi anche Tu”.

Fantozzi” aggettivo dispregiativo da “Fantozzi Ugo ragioniere” e non “ingegnere come me”  dell’Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica una azienda privata, ma per l’immaginario collettivo pur sempre un posto impiegatizio, un posto da sottoposto, passando da “libero professionista” a “professionista” si, grazie alla mia laurea e alla mia “abilitazione all’esercizio professionale” ma pur sempre “dipendente”, dal verbo dipendere da una entità che non era più identificabile come nei tempi delle belle battaglie sindacali di inizio novecento in un “padrone dalla belle brache bianche” ma da qualcuno che prima del sottoscritto era entrato in quella stessa organizzazione che veniva dichiarata “pubblica poiché di tutti”, ma che proprio di tutti alla fine non era, ma apparteneva a dei soliti noti che nel tempo si alternavano con altri soliti noti che al tempo attraverso congiunzioni astrali avevano saputo fare “carriera”.

Carriera”, che bella parola e fu così che come tanti dopo essermi convinto di aver conosciuto una identità nel titolo professionale, incontrai un omino coi baffi, simile all’omino Bialetti che spuntava appena dietro alla sua scrivania, il quale, il primo giorno lavorativo, prese in mano il mio libretto di lavoro ingenuamente da me consegnatogli e lo strappo dicendomi, da oggi questo non le servirà più, lei è un “dipendente VIII livello” e io sono il suo “capo ufficio anche io una volta ingegnere come lei, ma oggi, dirigente” (una sorta di IX livello) e non si preoccupi, stia tranquillo che come è accaduto a me, anche lei un giorno diverrà dirigente, aggiungendo piano piano senza farsi sentire dall’anziana segretaria che stava dietro la porta aperta del suo ufficio …….. “prima o poi se non romperà i coglioni” ed io sorridendo, giovane, bello, con gli occhi chiari uscii da quella stanza accolto dai sorrisini delle signore, a quel punto colleghe che la parola “ingegnere” me la facevano uscire da tutti i pori e io mi gonfiavo il petto pensando come quel tipo che cantava “cu dici che u carcere  galera, a mia mi pari na villeggiatura, hannu a passari sti ventinovanni undici mesi e ventinove giorni”, povero me, non sapevo ancora che non erano 30 anni che mi erano stati dati, ma addirittura quaranta e senza condizionale, ma cosa importava, io da li sarei fuggito a breve e sarei ritornato a fare la libera professione come tutti coloro che sfottendomi da fuori mi chiamavano Fantozzi.

E guardavo dietro i vetri di quella finestra le stagioni che passavano e i miei capelli che a poco a poco diventavano più bianchi e la mia forma che a poco a poco mi abbandonava e mentre i miei discorsi erano rivolti a spiegare ai vari compagni di viaggio che inizialmente credevo di riconoscere nei vari ragionieri Filini che organizzava il tipico torneo aziendale, al Carboni e la onnipresente Signorina Silvani (dove c’ un ufficio c’è sempre una signorina Silvani) alla quale in assenza di concorrenza tutti facevano la corte che io pensavo all’omino Bialetti e alla sua frase profetica ………… “anche tu farai carriera se non romperai i coglioni”, ed il tempo passava e già per molti da ingegnere ero diventato “architetto” (neanche il mio titolo ricordavano) certi come erano che da un non più usato nel frattempo livello ero diventato una “fascia”, “fascia D” che non teneva più conto di una “laurea e di una abilitazione” dimenticata e svilita visto che in questo contenitore finivano indiscriminatamente diplomati e laureati studiando sul posto di lavoro o addirittura on-line.

Fu così che un giorno seduto su una sedia davanti ad una commissione, come Morgan Freeman risposi “quel ragazzo che speranzoso era in me adesso aveva lasciato il posto a questo signore maturo che non credeva più ad un cazzo!” E poi aggiunsi: “se vi capita di incontrare l’omino Bialetti di cui sopra ditegli da parte mia …………. ma vaffa……”. Evviva la meritocrazia, un abbraccio Epruno.

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