Un vero e proprio attacco ai fondi per l’agricoltura europei. Quindici regioni italiane hanno deciso di ribellarsi all’attuale schema di ripartizione dei fondi per l’agricoltura, mettendo in discussione la programmazione in corso. A questo tentativo si oppongono sei regioni. Tra queste la Sicilia, che sarebbe tra le regioni più penalizzate da questa proposta di riorganizzazione della spesa. Di seguito provo a mettere un po’ di ordine alle varie cose lette e scritte sull’argomento.
Premessa in forma di racconto
Nel 1963 un gruppo di produttori si aggrega per proteggere una produzione tipica del territorio. Di questa produzione c’è traccia già nel periodo romano. Oggi quell’aggregazione conta 140 aziende, che impiegano 50.000 persone e che rappresentano uno dei pilastri dell’economia gastronomica del paese: il prosciutto crudo di Parma. Il cui marchio è registrato in 90 paesi nel mondo.
A ben guardare solamente 140 aziende aggregate rappresentano un valore materiale ed immateriale incalcolabile per l’Italia. Storia analoga quella del Parmigiano Reggiano che è il frutto oggi di 363 aziende. Trasformano il 15% del latte prodotto in Italia e che danno vita ad uno dei prodotti alimentari identitari italiani.
Questi sono probabilmente gli esempi più eclatanti del mondo agricolo italiano che dimostrano quanto preziosa ed efficace sia la cooperazione.
Occorre essere onesti e riconoscere che non è un caso che due prodotti cosi importanti prendano vita nella stessa area del paese, un’area nella quale molto spesso gli interessi economici e del territorio superano la conflittualità tra competitor e spesso anche tra parti politiche.
Il Covid-19 e la spesa europea
A causa del Covid-19 la spesa dei fondi europei è rallentata in tutta Europa. L’Unione Europea decide pertanto di slittare di due anni la spesa relativa agli investimenti in agricoltura. Si tratta di somme già assegnate, e già programmate nei programmi di spesa regionali, non spese per l’imprevista contingenza del covid 19.
Fin qui tutto sembra seguire una logica.
Il colpo di mano di 15 regioni ribelli ed i criteri “oggettivi”
Succede in questi mesi che 15 regioni: Veneto, Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, provincia autonoma di Trento, Provincia autonoma di Bolzano, Sardegna, Toscana, si siano ribellate al piano di spesa già approvato e presentino un documento per chiedere la riorganizzazione della spesa secondo nuovi criteri. Queste regioni ribelli chiedono una modifica delle regole in corso.
Definiscono dei criteri “oggettivi” che vengono posti in campo in alternativa ai criteri vigenti definititi “storici”.
Qui da amante della comunicazione e della parola non posso non sottolineare la strategia, un po’ sleale ma efficace, di nominare dei criteri che rispondono all’interesse preciso di 15 regioni, con l’aggettivo “oggettivi”, che sembra volere conferire loro una autorevolezza ed una rappresentatività universale, mentre rappresentano solo l’interesse e la convenienza della parte proponente.
Sei regioni Sicilia, Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Umbria vengono penalizzate da questi criteri. Si oppongono a questa redistribuzione di somme. Dalla tabella che segue si evince la perdita percentuale di finaziamento che le regioni in questione avrebbero. Le più penalizzate Sicilia e Campania.
Il nuovo riassetto determina uno spostamento di somme dalle sei regioni alle quindici ribelli. Sull’entità dell’importo si è scritto e detto di tutto. L’entità della cifra è comunque irrilevante qualunque dovesse essere. Spiego il perché tra breve.
Il minstro Patuanelli ago della bilancia
Il ministro Patuanelli, cui spetta la politica di indirizzo su questa vicenda, in una audizione con i parlamentari della regione Sicilia, spiega che si tratterebbe di solo 111 milioni di euro. Mi risulta inoltre che abbia rassicurato i parlamentari siciliani del suo partito (Movimento 5 Stelle), sul fatto che ogni euro che la Sicilia perderebbe da questa riorganizzazione della spesa, sarebbe compensato in altro modo.
Qui la logica si perde, e sembrerebbe non chiaro il perché le quindici regioni ribelli vogliano cambiare adesso in corso d’opera dei criteri di spesa. A programmazione ormai quasi completata. Per cifre che il ministro stesso si rende disponibile a compensare, e che sebbene ingenti sembrerebbero residuali rispetto all’intera consistenza dei fondi.
La storia della PAC (Politica Agricola Comunitaria) il vero nodo della vicenda
La politica comunitaria e la sua storia sono elementi chiave per comprendere cosa sta accadendo adesso. Ne ho parlato con Ettore Pottino, presidente regionale di Confagricoltura, che in quanto produttore cerealicolo ha vissuto in prima persona questa evoluzione.
Quando l’Unione Europea era ancora CEE si stabili di dare un sostegno agli agricoltori sulla base della produzione. Nel caso del grano ad esempio veniva pagato agli agricoltori un prezzo superiore al prezzo di mercato, per consentire loro di produrre e sopravvivere dignitosamente. Il problema di questo approccio è che era sperequativo ed avvantaggiava di molto le grandi aziende. Inoltre la PAC interveniva pesantemente sul sistema dei prezzi mondiale in quanto il sostegno sul prezzo incentivava la produzione determinando eccedenze. La funzione regolatrice sulle quantità tipica della logica di mercato veniva inficiata dal supporto sui prezzi garantito ai produttori Europei.
La riforma Mac Sharry
Si introduce dunque nel 1992 la riforma Mac Sharry che negli anni seguenti darà avvio alle politiche agrarie che conosciamo oggi, nella quale il sostegno è spostato sulle unità produttive indipendentemente dalla produzione. In pratica viene introdotto il concetto di titolo, e le imprese agricole percepiscono un sostegno sulla base dell’area coltivata indipendentemente da quanto producono.
Il primo pilastro della PAC
Questa parte della spesa viene definita il primo pilastro della PAC. In pratica è un finanziamento diretto a pioggia per il comparto agricolo.
Con l’avvio della riforma Mac Sharry, per decidere il valore dei titoli dei terreni e bilanciare i finanziamenti sulla base della produttività dei terreni, si fece una media di un triennio dei primi anni novanta. Negli anni considerati il Sud andò incontro ad una siccità insolita, che determino basse rese produttive, sulle quali fu definito il valore dei titoli, ragione per la quale i titoli del Nord Italia, naturalmente più produttivi per motivi irrigui, hanno assegnati valori anche dieci volte superiori ai titoli del Sud Italia. Come detto la differenza in parte e strutturale ed in parte congiunturale. Ettore Pottino, produttore cerealicolo mi spiega che un ettaro in convenzionale produce in media in Sicilia 40/45 quintali, ma il valore del titolo fu cristallizzato tra 13 e 18 in relazione alle aree.
Quella fotografia estemporanea ed erronea legata come abbiamo visto ad un triennio particolarmente nero – anche per una classe dirigente assente ai tavoli di concertazione nazionali ed europei – è rimasta inamovibile finché l’Unione Europea nella scorsa programmazione non avvia una revisione che prevede nel medio termine l’ equiparazione dei titoli non solo a livello nazionale ma anche a livello europeo.
Con le nuove indicazioni le 15 regioni ribelli vedranno fortemente ridotti i propri fondi del primo pilastro.
Il secondo pilastro della PAC
Una seconda parte dei finanziamenti della PAC è sul secondo pilastro, quello degli investimenti e dell’innovazione. Sono i fondi indiretti. Mentre il primo pilastro serve a garantire il reddito minimo agli agricoltori, il secondo pilastro serve ad orientare la spesa e l’attività agricola, nelle direzioni strategiche dell’UE, siano esse la biodiversità, la tutela de paesaggio, la qualità gastronomica, l’innovazione etc.
Questi fondi vengono assegnati secondo alcuni criteri. Le 15 regioni ribelli hanno sottoscritto un documento per modificare questi criteri di assegnazione. Questo spostamento di asticella, come detto, adesso non determina un grande spostamento di somme, la spesa è quasi conclusa, ed il ministro si rende disponibile a trovare delle compensazioni.
Il fatto è che i nuovi paletti sarebbero alla base della trattativa che si riaprirà nella prossima programmazione, quella che partirà nel 2023, nella quale va completamente rivisto anche il primo pilastro che penalizzerà fortemente le regioni che storicamente hanno i titoli sopravvalutati.
È evidente che ogni centimetro guadagato in questa trattativa, sarà un centimetro acquisito nella prossima trattativa quella nella quale i numeri saranno ben altri perchè riferita all’intera programmazione.
A questo si aggiunga che il bilancio Europeo ha già approvato dei tagli piuttosto congrui alla prossima programmazione sul fronte agricolo tagli del -10% sul primo pilastro ed un -19% sul secondo pilastro. Il che rende la coperta dei fondi per l’agricoltura ancora più piccola.
Anticipare il negoziato sul secondo pilastro è pertanto a mio avviso un modo strategico per guadagnare posizioni che saranno poi spendibili sul tavolo della prossima concertazione.
La Sicilia ed il Sud in genere hanno subito per l’incapacità di organizzarsi, di lavorare insieme, di progettare e programmare molte sottrazioni di reddito e di opportunità.
La mia idea è che quando questo è avvenuto sono bravi gli altri ad approfittarsi delle nostre debolezze.
Quello che sta accadendo di nuovo in questa vicenda è che questa manovra nata da una forte sinergia tra imprese, enti locali, ministero, ed in genere di territori che tentano di difendere dei privilegi, e lo fanno organizzandosi e concertando, trova per la prima volta in tempi recenti, dall’altra parte, altri territori, imprese ed enti locali presenti in campo per difendere i propri interessi.
Gli attori in campo
La questione ha visto attiva sul fronte agricolo Confagricoltura, il più grande aggregato per fatturato ed addetti di imprese agricole del paese, e l’Associazione Terra è Vita, che di fatto è la voce degli agricoltori, rappresenta in modo liquido, non essendo un sindacato strutturato, migliaia di agricoltori in tutta la Sicilia e che con Santo Bono e Pino D’angelo è stato uno dei motori di questa netta opposizione della Sicilia a questo provvedimento. Molto apprezzata l’azione di coordinamento svolta inoltre dall’assessorato guidato da Dario Caltabellotta, cui viene riconosciuto anche l’avere avviato tavoli di concertazioni con le associazioni per la painificazione della prossima programmazione.
Più che significative le posizioni pubbliche dei deputati Orazio Ragusa, Vincenzo Figuccia, Giuseppe Compagnone ed Angela Foti, che hanno presentato delle mozioni su questo tema in assemblea. A di fatto ispirato l’audizione all’Ars con il ministro condotta da Angela Foti.
L’attivazione trasversale di politica, amministrazione, sindacati, associazioni probabilmente era inaspettata ed ha determinato un rallentamento nelle decisioni ministeriali.
Il ministro Patuanelli
Il ministro Patuanelli, si trova adesso in una situazione poco piacevole e poco difendibile. Patuanelli è un ministro 5 stelle che di fatto è sensibile alle istanze del suo collegio elettorale, che si trova al nord. Ma è ministro in forza di un partito politico che esiste nei fatti solo al Sud. Non credo che il movimento 5 stelle, possa fare passare questo spostamento di fondi senza pagarne un prezzo elettorale enorme sui territori.
La partecipata audizione all’ARS ha visto una presenza della politica regionale in modo trasversale indipendentemente dal partito di provenienza ed in quella sede è stata posta una questione di merito e di metodo.
Abbiamo spesso ragione di dubitare della nostra politica, delle nostre istituzioni e della nostra classe produttiva. Sono storicamente anche loro oltre che ciascuno di noi stessi, responsabili del potenziale che come terra siamo e non esprimiamo.
La storia del parmigiano e del prosciutto crudo, ma anche la storia del Veneto nel suo insieme, sono la dimostrazione che la cooperazione sia la sola strada per creare valore.
Gli attestati di stima trasversali che ho raccolto su questa vicenda tra operatori agricoli, sindacato di agricoltori, politica ed istituzioni, mi lasciano sperare che forse qualcosa in Sicilia si stia muovendo nella direzione giusta. Quella di remare tutti nella stessa direzione. Misureremo dall’esito ancora incerto di questa vicenda capacità determinazione e forze in campo. Indubbiamente però fino ad ora la Sicilia non è rimasta a guardare come troppo spesso è avvenuto in passato.
I parlamentari nazionali delle sei regioni hanno la forza di chiedere al presidente Draghi il rispetto delle norme. Vedremo se sapranno farlo se necessario svincolandosi dai dettami di partito. Il presidente Draghi sebbene il governo sia sbilanciato con ministri di riferimento delle 15 regioni ribelli, non potrà non tenere conto di tutte le istanze sul tavolo. Non può non comprendere che è in gioco il futuro dell’agricoltura italiana. Non è uno scontro nord sud. E non è questo stralcio di programmazione in discussione. Lo scontro è tra l’idea che vadano difesi i propri privilegi ad oltranza anche a costo di ribellarsi alle regole vigenti, e l’idea che si possa ragionare come un solo paese nel rispetto delle regole condivise.
Io credo sia incidentale che siano sopratutto le regioni del Nord a ribellarsi, e la ragione come abbiamo visto è storica, perchè storicamente hanno goduto di un vantaggio che stanno perdendo.
Non è uno scontro Nord – Sud. Ma io credo che se il governo non saprà mediare potrebbe diventarlo.
L’Italia che saremo sarà frutto anche dell’esito di questa vicenda, che riguarda solo apparentemente in modo esclusivo gli agricoltori. Se in questa riorganizzazione del paese sul fronte agricolo il governo nazionale non troverà la giusta mediazione io temo che lo scontro che ne seguirà potrebbe avere un costo insostenibile per il paese.
p.s. Ho usato volutamente l’agettivo “ribelle” rivolto alle 15 regioni per fare notare come l’uso strumentale di una parola indirizza il pensiero. Esattamente come le 15 regioni ribelli hanno giocato con la parola “oggettivo” per dare una forza ad una proposta unilaterale e strumentale come quella oggetto della contesa.