“Perché continuate a dire che ci vuole un coordinatore regionale per Fratelli d’Italia…c’è già… ed è Ignazio La Russa…”
La battuta caustica di uno dei fedelissimi di Roberto Lagalla, rimbalza da uno dei tanti cenacoli della giornata di ieri, la più calda degli ultimi mesi della politica siciliana, che ha partorito in un crescendo, prima temuto e poi annunciato di emozioni al fotofinish, l’incrocio fatale della norma “salva ineleggibili”QUI e le nomine dei manager della sanità in una giunta serale in cui i meloniani non hanno partecipato, aprendo di fatto la crisi alla Regione. QUI
La mancanza di una leadership nel partito di Sicilia che a Roma fa capo a Giorgia Meloni non è causata dall’invadenza a fin di bene del presidente del Senato, ma ne rappresenta una causa originaria.
Nell’ultimo anno, da quando è a Palazzo d’Orleans Schifani ha trovato il super leader di Paternò come unico referente con cui risolvere i dossier più scottanti che avrebbero potuto determinare voragini ancora più grandi e distanze altrettanto siderali tra lui e FdI.
Ma questo dato è la causa o l’effetto di un’anomalia regionale?
Quel che è certo è che l’avvitamento tra la mancanza di una classe dirigente regionale e le interlocuzioni che poi producono effetti “zoppi”, come nel caso delle nomine della Sanità in cui il neo-manager Ferdinando Croce, è stato dirottato a Trapani in una sede con minore peso e visibilità politica, genera disordine e non evita le distorsioni. Il rammarico è tanto più grande se si considerano le premesse ampie di condivisione sul nome dell’avvocato messinese, stimato come un emergente di valore, che andavano ben al di là dell’area musumeciana che lo proponeva.
Anche quella che viene frettolosamente bollata come fuga in avanti dei deputati Aricò e Ferrara, sui nomi delle Asp, difficilmente si sarebbe potuta addebitare a un partito più strutturato localmente, invece continuano a viaggiare con risultati non sempre encomiabili i “pendolari delle scelte”.
Intendiamoci c’è chi come Gaetano Galvagno, presidente dell’Ars fa anche gli straordinari per trovare la quadra, ma da solo non basta.
Il riflesso sui territori replica il quadro di un partito schiacciato sugli alleati e meno reattivo di come potrebbe essere. A Palermo il sindaco governa con renziani di ritorno e centristi di complemento; a Trapani i risultati sono ancora più grigi e Messina per i meloniani è un feudo tutto da riconquistare dove sta crescendo Pino Galluzzo, territorio per territorio.
Enna e Caltanissetta procedono con risultati alterni e a tenere il punto sono rimaste solo Catania e Ragusa. Nella prima la cocciutaggine di Ruggero Razza ha consentito almeno di esprimere un sindaco autorevole come Enrico Trantino, ma c’è da fare i conti con la concorrenza agguerrita di Fi (Falcone e D’Agostino) e con la Superlega scalcitante al suo interno (Lombardo e Sammartino), ma pesante in termini di consenso.
A Ragusa la crescita di Giorgio Assenza e la presenza di un’amministrazione (civica) di area sono più un’eccezione che una regola.
Insomma la lunga volata che separa il partito di Giorgia Meloni dal voto delle Europee, per quello delle Province non prenderei troppi impegni sul fatto che si voti, necessita di una lunga e complessa riflessione. Il potere logora non solo chi non ce l’ha, ma anche chi se lo fa portare via con troppa facilità.