La Regione corre ai ripari per fronteggiare la crisi di numeri e di risultati che ha segnato, in un flusso ininterrotto di partenze di giovani e lavoratori, la crisi del sistema socio-economico nell’Isola. Pronto il nuovo documento economico finanziario regionale (DEFR).
Le previsioni di entrate nelle casse regionali da riscossioni, alla luce anche delle rateizzazioni introdotte per il triennio parlano di 340.605.401 euro nel 2018, di 224.862.296 euro nel 2019 e della stessa cifra nel 2020.
Dall’analisi dello scenario che costituisce la premessa del DEFR dei 5 milioni di residenti soltanto 1.370.000 risultano occupati (compresi i sommersi). In dieci anni la Sicilia ha perso 223.600 posti con meno di 44 anni e ne ha creato 94.200, coperti da ultra 44enni. La perdita di occupazione è di 130.000 unità (tasso di disoccupazione al 22,1% quella giovanile al 57,2%). Tra disoccupati (383.000) e coloro che vorrebbero lavorare la disoccupazione coinvolge quasi un milione di siciliani, circa 300.000 in più del 2007, distruggendo così la speranza di lavoro, di futuro, di famiglia di tanti siciliani.
Se il riferimento è l‟Emilia-Romagna, dove su 4,5 milioni di abitanti lavorano in 2 milioni, occorre circa 1 milione di nuovi posti di lavoro, in Sicilia il terzo peggior tasso di attività (40%), fanno meno soltanto Calabria e Campania. La Sicilia ha il più alto numero di persone che vivono all’estero: circa 800mila, il 15% dei cinque milioni di residenti nell’Isola.
Tra le considerazioni portate a supporto della premessa colpisce che tra il 2007 e il 2016 la Sicilia ha perso il 12% del PIL, quasi il doppio del Nord Italia (7%) e comunque più del Sud (11%): agricoltura -15%, l‟industria -54%, l‟edilizia -43%, solo il turismo ha limitato i danni e l‟export invece è cresciuto solo da 3,3 a 3,5 miliardi di euro.
La dispersione scolastica ed universitaria è ai massimi livelli nazionali, è infatti superiore al 20%, raggiungendo la maggior incidenza tra i giovani tra i 18 e 24 anni con la sola licenza media e non più in formazione.
Gaetano Armao chiarisce: “Le zone economiche speciali, per esempio, sono una di queste leve necessarie – chiarisce – Occorre creare opportunità fiscali e burocratiche che consentano alle imprese di investire in Sicilia, facendo sponda sui versanti di rafforzare l’imprenditoria e attrarre investimenti”.
Il piano d’attacco della Regione prova ad uscire dal confine angusto del libro dei sogni che ha esaurito tutte le sue pagine. Punta ai cavalli di battaglia dell’autonomismo siciliano che lo stesso Armao da tempo ha predicato. Collocati in uno scenario in cui la macchina burocratica della Regione, per esempio, “non rimanga un problema tra i problemi ma divenga il motore di crescita e di sviluppo del territorio e realizzi uno standard di benessere diffuso”, come si legge nel documento stesso.
Obiettivo ambizioso tra gli obiettivi ambiziosi, se è vero com’è vero che uno dei freni, messi nero su bianco nella statistiche presentate dalle associazioni di categoria, tra cui in passato anche l’Ance, è proprio l’ingolfamento tra carte e procedure che spesso, limite e impoverisce il ritmo del dialogo tra imprese e amministrazione regionale.