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Genitori alienati, alienanti, e bambini adultizzati

venerdì 19 Ottobre 2018

Quando la separazione è vissuta in modo disfunzionale

Bentrovati lettori Liberi e Nobili della mia rubrica di psicopatologia della vita quotidiana. Oggi voglio trattare con e per Voi un argomento straziante che dovrebbe suscitare l’interesse e la riflessione di genitori, colleghi e giuristi: la separazione coniugale. In un arcipelago immenso come la società odierna, in cui impelagano le differenze sociali, questo fenomeno costituisce un importante trait d’union, un minimo comune multiplo. Altrettanto universale è la tendenza a scegliere le persone sbagliate (anche se giuste per l’evoluzione). Quanti fra noi, con esperienza di divorzio, sono in grado di affermare di aver notato subito dei difetti di personalità e di averli sottovalutati, di aver vissuto una serie di malesseri e disagi che si sono intensificati col tempo e che, comunque, quasi per, falsa o meno, rassegnazione e accettazione, si è lasciato che il rapporto degenerasse, trascinando più che vivendo, un matrimonio fallito.

Una delle ragioni che portano le persone a provare a salvare la relazione è certamente culturale (cosa è socialmente accettabile?), poi, c’è il fattore sociale (si è reticolati e complanati in un determinato tessuto sociale da cui non è facile scardinarsi), il fattore emotivo (quanto si è investito? Quanto si è creduto nel rapporto? Quale progetto di vita si è condiviso?), quello legato agli interessi personali (ci sono beni condivisi? Uno dei coniugi non è in grado di mantenersi da solo?) e, non ultimo, anzi, al contrario, un motivo portante, che condiziona parecchio, è il fatto di avere dei figli, soprattutto, se di tenera età. Io da Psicologa clinica vi dico che,attualmente, i bambini sono già abituati a vedere più genitori separati che condividono l’affidamento piuttosto che famiglie alla Mulino bianco. Vi dico anche che un genitore felice è meglio di uno insoddisfatto e arrabbiato. I bambini hanno bisogno di vedere che i genitori si vogliono bene e si rispettano, anche se vivono separatamente. Hanno bisogno di vivere la fine come un nuovo inizio, senza traumi quali quelli dati da rigidità, inflessibilità e incapacità di essere assertivi e resilienti.

Le dinamiche comportamentali disfunzionali più allarmanti e spaventose sono quelle in cui si va da un segnale certamente distonico in cui si parla male dell’ex in presenza del bambino a quella che viene definita sindrome da alienazione genitoriale o sindrome da alienazione parentale (PAS, dalla formula in inglese). Secondo Gardner, questa sindrome sarebbe il risultato di una presunta “programmazione” dei figli da parte di uno dei due genitori (definito “genitore alienante”) che porta i figli a dimostrare astio e rifiuto verso l’altro genitore (definito “genitore alienato”). Questo piano viene portato avanti,più intenzionalmente che no,da un genitore attraverso l’uso di espressioni denigratorie, false accuse, raccolta e costruzioni di finte prove.

Se il giudice decide che io debba essere i suoi occhi, la prima questione che mi pongo è: perché dovrei togliere il figlio alla madre e/o al padre? Si rischia, infatti, in alcuni casi, di violare un principio di genitorialità disgiunto da tutto il resto, o meglio, il diritto alla genitorialità a prescindere dal contesto, anche quando è oggettivamente disfunzionale. Non dobbiamo confondere il conflitto interno a una coppia che si sta separando, l’identificazione proiettiva agita contro l’ex coniuge, la scissione e altri meccanismi di difesa paranoidei con una mancanza effettiva di competenze a rivestire il ruolo genitoriale. Di fatto, grazie agli strumenti di cui dobbiamo essere forniti, noi Psicologi clinici abbiamo il compito di proteggere i bambini dal lato oscuro di una separazione, dalla cecità e dall’egotismo che obnubila la mente delle persone in una fase, certamente e innegabilmente, diversamente dolorosa e complessa per tutti.

Senza zigzagare, la conclusione dei servizi sociali o di noi Psicologi non può essere che i bambini debbano essere tolti alla famiglia e collocati in una Comunità. Questi sono casi estremi, a volte, necessari (quando si parla di gravi violenze psico-fisiche) ma una corretta valutazione del caso va fatta pensando prima di tutto che i bambini hanno bisogno della propria famiglia di origine, di mamma e papà, in egual misura.

Il consulente tecnico di ufficio (CTU), nella sua indagine, deve prendere in considerazione diversi fattori: se l’ambiente in cui dovrà stare il bambino è adatto, se c’è sufficiente cura psicologica del figlio, protezione e stimolazione intellettuale, deve fare una valutazione psicodiagnostica e psicopatologica dei soggetti in causa e una valutazione cognitiva dei bambini, in modo da comprendere perché sono influenzabili.Produrre una sorta di lavaggio del cervello, un lavaggio della loro coscienza affettiva è una forma di grave violenza che avrà delle terribili conseguenze sul piano affettivo. Sarà come iniettare emozioni come odio, rabbia, paura, diffidenza che circoleranno nel sangue come un veleno corrosivo e distruttivo, adultizzando il bambino, facendogli vivere terribili frustrazioni e conflitti interiori. Gli effetti sono talmente deleteri da condurli a divenire soggetti con disagi psicologici gravi che tenderanno a usare massicciamente meccanismi di difesa come l’identificazione proiettiva e la scissione.

Questo articolo vorrei fosse come un grimaldello cogitativo che riuscisse a scassinare tutte quelle menti chiuse che trattano i bambini come estensioni narcisistiche, come strumenti di guerra o proprietà di cui si può ottenere l’esclusiva. I bambini hanno diritto a vivere l’infanzia non tanto serenamente quanto gioiosamente (Convenzione sui diritti dell’Infanzia–UNICEF) perché ne abbiamo solo una prima di essere catapultati nell’inferno.

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