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A “Bar Sicilia“, la rubrica de ilSicilia.it con Alberto Samonà e Maurizio Scaglione, oggi, domenica 20 ottobre 2019, per la 81ª puntata abbiamo ospite il presidente onorario della Fondazione Caponnetto Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi.
Molta parte dell’intervista è incentrata, com’è naturale, sulle indagini relative all’attentato subito da Antoci la sera tra il 17 e il 18 maggio 2016, anche alla luce delle recenti polemiche nate a seguito della relazione della Commissione regionale parlamentare antimafia guidata da Claudio Fava, che ha sollevato una serie di dubbi: “Mi sarei aspettato che una commissione regionale politica si fosse occupata delle connivenze avvenute anche all’interno della Regione fra coloro che hanno fatto passare milioni di euro di fondi europei all’agricoltura e che sono andati in mano a capi della mafia, piuttosto che entrare nel merito di un lavoro certosino già fatto dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. Tanta chiarezza la commissione antimafia non ne ha fatta. io sono rimasto molto deluso nei termini ma anche nei modi. Ci sono state delle cose trattate in modo sbagliato, non verificando le carte. I magistrati parlano chiaramente di un attentato mafioso compiuto con tecniche militari allo scopo di uccidere, per l’impegno di Antoci sui fondi europei all’agricoltura che ha creato danni milionari a importanti famiglie mafiose”.
“A mia insaputa e all’insaputa di tutti – aggiunge – mentre lavoravamo al protocollo di legalità (poi divenuto legge) la Dda di Caltanissetta intercettò alcuni mafiosi che dicevano fra loro di voler sparare un colpo di pistola al cervello “a quel cornuto di Antoci”. Io vengo messo sotto scorta all’improvviso da un giorno all’altro. Ecco perchè sono certo che dietro all’attentato ai miei danni ci sia la mafia”.
Antoci racconta, quindi, come nasce il protocollo che ha reciso il legame fra i boss e la gestione dei terreni: “I comuni, gli enti pubblici, la regione, facevano il bando per gli affitti dei terreni. Quando io sono arrivato al parco mi accorsi che molti agricoltori non potevano partecipare ai bandi perchè c’erano sempre le stesse persone a partecipare e ad aggiudicarsi i bandi. Sotto i 150 mila euro bastava un’autocertificazione per partecipare e vincere un bando. E capimafia certificavano di essere in regola con le norme antimafia. Ecco, il nostro protocollo ha colpito in quella direzione. Ha spezzato questa rete ed è per questo che è stato odiato dalla mafia dei pascoli. Direi che è opera di dire basta con l’antimafia delle predice. Lo stesso termine antimafia comincia a stare stretto, visto che è stato abusato anche a sproposito. Occorre realizzare i fatti, come abbiamo fatto noi quando eravamo alla guida del parco dei Nebrodi”.
“Il giudice Caponnetto – spiega – prima di morire ha detto a sua moglie Betta di non far mai cadere la fiaccola dalle mani che aveva raccolto da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino. Betta Caponnetto oggi è molto anziana e per me è un onore portare avanti quella fiaccola come presidente onorario della fondazione: oggi ho questo obiettivo, e lo faccio anche incontrando tantissimi ragazzi nelle scuole”.
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