Una crisi, simile ad un effetto domino, che come un’onda travolgente è riuscita a mettere in ginocchio ben oltre la metà dei Comuni siciliani. E se proprio non è la causa di tutti i mali, poco ci manca. Il vero problema? Non riuscire a trovare la luce in fondo al tunnel. E’ questa in una versione estremante ridotta e riassunta della condizione, ad oggi, vissuta dagli Enti locali isolani. Sofferenze di varie natura, dai malesseri finanziari a quelli strutturali, che attanagliano gli Enti impedendone non solo la semplice erogazione dei servizi, ma la loro stessa sopravvivenza.
Per avere un quadro ben più preciso della condizione attuale basta consultare i dati pubblicati e aggiornati periodicamente dal dipartimento delle Autonomie locali: ottanta sono i Comuni che hanno dichiarato lo stato di dissesto finanziario, di cui quattrodici da oltre cinque anni, e dunque, secondo l’articolo 244 Tuel, non più in grado di svolgere le proprie funzioni e di erogare servizi indispensabili; quarantatré sono in riequilibrio finanziario e che, secondo l’articolo 243 bis Tuel, si trovano in una situazione di squilibrio strutturale del bilancio, in grado di provocarne il dissesto finanziario.
Uno stato di precarietà sempre più diffuso che appare come un circolo vizioso e dalla data di scadenza indecifrabile. Infatti, se i due provvedimenti, nati come strumenti straordinari a fronte di una condizione di “patologia” finanziaria degli Enti locali, rappresentavano un appiglio, un salvagente in un vero e proprio mare in tempesta, oggi si dimostrano insufficienti e inadeguati. La Sicilia, infatti, è costretta a reiterare dichiarazioni di dissesto e anche ex novo, cioè Comuni che con l’approvazione dei rendiconti 2023 e 2024 con disavanzi impossibili da recuperare, con gli strumenti ordinari previsti dalle normative, sono costretti a dichiarare il dissesto. Una condizione cronicizzata, per cui una volta dichiarato il dissesto, la norma prevede in questo percorso strutturale di risanamento che gli enti debbono attuare tutta una serie di misure strutturali e contabili perché possano materialmente stabilizzare l’equilibrio di bilancio in maniera costante e perpetua del tempo.
L’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato diviene così uno strumento a cui non è più possibile accede, in quanto gli Enti non sono più in grado di poter formalmente realizzare a causa delle condizioni strutturali in cui versano.
Una piaga regionale che limita in maniera inevitabile l’azione dei Comuni sul territorio e a cascata su tutti i servizi.
Dal personale alla mancata riscossione
Le cause? Sono veramente tante e variegate.
Punto di partenza potrebbe essere rappresentato dalla staticità del quadro normativo. Quest’ultimo, infatti, non è cambiato parallelamente all’evoluzione e alle mutazioni degli Enti locali. Esempio lampante sono le norme che riguardano il personale e le assunzioni. Un blocco sia qualitativo che quantitativo che ha impedito agli Enti di poter provvedere anche alle proprio condizioni minime.
A quest’ultimo segue a ruota legato alla “carestia dei tributi” (CLICCA QUI). Il problema della riscossione non è certo un tema nuovo. A fine 2024 era stata un’indagine condotta dalla sezione di controllo della Corte dei Conti sulla finanza locale siciliana 2024 a lanciare l’allarme: solo nel 2023 i mancati incassi si aggirano sul miliardo di euro. I giudici contabili hanno analizzato le informazioni caricate nella banca dati amministrazioni pubbliche (Bdap) della Ragioneria generale dello Stato da 300 Comuni, gli altri 91 risultano inadempienti. Per quanto concerne le entrate calcolate al netto dei fondi perequativi, i Comuni siciliani registrano accertamenti in crescita da 533 euro pro capite nel 2021 a 556 euro pro capite nel 2022, collocandosi poco al di sotto della media nazionale (pari a 591 euro) con un tasso di crescita nel biennio del 4,3%. Il punto più critico riguarda le riscossioni, che pur crescendo del 4,9% tra il 2021 e il 2022, restano tra le peggiori a livello nazionale, passando da 298 euro pro capite a 312. Ciò determina un gap tra accertamenti e riscossioni che sale da 235 a 244 euro pro capite, molto superiore alla media nazionale di 158 e 159 euro pro capite. Dati e percentuali che conducono verso un’unica strada: quella del default finanziario. Gli Enti locali pagano così un prezzo carissimo, al dir poco catastrofico, legata alla bassissima riscossione dei propri tributi e dunque alla capacità di sostenersi in maniera autonoma dal punto di vista finanziario.
Il vaso di Pandora della contabilità armonizzata
Un peso non di poco conto è attribuibile anche alla contabilità armonizzata.
Entrata in vigore a settembre 2011 e recepita in Sicilia ad avvio 2015, la strada è apparsa subito in salita, con interventi normativi a più riprese della Regione Siciliana e gli Enti che hanno riscontrato più difficoltà del previsto. In un contesto nazionale composto da molteplici volti, con sistemi contabili e schemi di bilancio diversi e principi contabili difformi e scarsamente applicati, la difficile leggibilità e la scarsa attendibilità dei bilanci pubblici, l’esigenza di un’armonizzazione contabile è stata quasi naturale. L’obiettivo? Coordinare le attività di programmazione, gestione, monitoraggio, controllo e rendicontazione finanziaria tra i diversi enti che compongono la pubblica amministrazione. Un sistema che nasce così per garantire una maggiore stabilità e trasparenza, con specifici strumenti previsti dallo stesso decreto legislativo (il piano dei conti integrato, i principi contabili generali, i principi contabili applicati, gli schemi di bilancio di previsione e di rendiconto di gestione e il bilancio consolidato), ma che al contempo ha evidenziato e fatto emergere sempre di più le criticità e i punti deboli intrinsechi degli Enti, nello specifico siciliani. Un po’ come scoperchiare un vaso di Pandora. Non a caso, a piangerne le conseguenze sono state principalmente le Regioni del Sud, come Campania, Calabria e Sicilia.
Una mutazione, quella radicale dettata dalla contabilità armonizzata, che ha reso la vita finanziaria degli Enti locali molto più vicina e simile a quella di un’azienda privata, con tutta una serie di clausole di salvaguardia al mantenimento degli equilibri di bilancio che in realtà gli Enti stentano a sostenere. La scarsa capacità di riscossione comporta, per legge, la necessità di ingessare il bilancio, con un accantonamento cautelativo, che ingessa la spesa tanto quanto la tua scarsa capacità di riscossione. Da qui il ricorso al dissesto finanziario o al riequilibrio finanziario. Un pareggio di bilancio o, molto spesso, un disavanzo di amministrazione dovrà essere riportato nel bilancio dell’anno successivo. Il disavanzo deve essere ripianato nel primo bilancio utile di previsione andando a ingessare la spesa per una quota di disavanzo, che va ricoperto in tre anni.
La necessità di un cambio passo normativo e culturale: le soluzioni
Insomma, un cane che si morde la coda. E mantenere l’equilibrio finanziario appare più come una “mission impossible”.
Considerando i numeri, una cosa è certa: il monitoraggio condotto dalla Regione e dal dipartimento Enti locali. Le figure sempre più diffuse dei commissari, ormai decine, al di là delle loro attività di coordinamento, sono limitate da un quadro normativo che incide in maniera sostanziale e sicuramente non in positivo.
Come superare ostacoli che appaiono invalicabili? In primis gli Enti dovrebbero acquisire la capacità di riorganizzarsi, proprio come una riorganizzazione aziendale, partendo una migliore riscossione dei tributi da cui deriva la necessità di uffici più efficienti, ancora non in linea con l’evoluzione della finanza pubblica in senso aziendalistico che, in tal senso, non si accompagna con le scelte dell’Ente.
Se come evidenziato l’aspetto normativo è importanza, ve ne è un altro che può essere definito anche come una sorta di fondamenta: quello culturale. Un punto, quest’ultimo, che coinvolge non solo i “morosi seriali”, ma anche l’altra faccia della medaglia, quindi il mondo della politica, degli amministratori e della burocrazia, con la gestione della cosa pubblica che necessità di una svolta. Da un lato, vista in maniera negativa, ha certamente bisogno di riacquisire fiducia, oltre che essere rivalutata e rigenerata in senso positivo. Dall’altro di assumere un aspetto culturale manageriale che possa coniugare tutti questi punti.