Il piccolo Molise dovrebbe dare una grande lezione al Partito Democratico: senza centro non si vince e non si è nemmeno competitivi. Una lezione, quella molisana, che per quanto venga da una ex roccaforte democristiana che nella Prima Repubblica era in diretta competizione con il “Veneto Bianco”, non fa che confermare ciò che è accaduto in altre recenti tornate elettorali che hanno visto il Pd o l’asse Pd-M5S soccombere contro la corazzata del centrodestra.
Non si tratta di essere “estremisti di centro” ma di prendere atto che il Pd storicamente è stato competitivo se non addirittura vincente solo nello schema del centro-sinistra “con il trattino” come chiosava l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Fu così per le politiche del 1996 quando sotto le bandiere dell’Ulivo si muovevano Pds e Popolari, nelle elezioni del 2006 con l’Unione che aveva nei Ds e nella Margherita i suoi perni o per le elezioni europee del 2014 con il Pd di Matteo Renzi che raggiunse percentuali da Democrazia Cristiana dando una decisa sterzata al centro al Pd. Anche in Sicilia, la terra del 61 a 0, il Pd riuscì a vincere e a raggiungere come coalizione risultati rilevanti solo in alleanza con l’Udc di Gianpiero D’Alia e approfittando delle divisioni del centrodestra. Il resto è una cronaca di sconfitte per le mancate alleanze con il centro o per l’inesistenza di una componente politica centrista strutturata a fianco del Pd capace di attrarre voto moderato.
L’arrivo di Elly Schlein nella stanza dei bottoni di via del Nazareno ha sancito, malgrado la benedizione di un ex popolare come Dario Franceschini, uno netto spostamento a sinistra del Pd sia in termini di programmi che di alleanze, con conseguente tentativo di recuperare il rapporto con il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte che insieme a Verdi e Sinistra condivide con il Pd di Schlein la stessa base elettorale di riferimento. Troppi partiti nello spazio di un elettorato già troppo contratto. Il logoramento dei rapporti con Renzi e Calenda poi non fa ben sperare: a sinistra rischia di non esserci più nulla oltre il trattino, compromettendo le possibilità di essere realmente competitivi con un centrodestra che nel suo schema tradizionale tripartito (Fdi, Lega e Forza Italia) continua a mantenere un solido vantaggio elettorale e un appeal non indifferente verso gli elettori tradizionalmente moderati.
Le soluzioni non sono facilmente a portata di mano. Dietro l’angolo non si vede sbocciare nessuna Margherita e i riformisti che a livello europeo fanno riferimento a Renew Europe hanno già qualche dubbio su un possibile abbraccio con i giallorossi che potrebbe essere mortifero e letale in termini di consensi proprio come in Germania sta accadendo ai liberali tedeschi che nelle urne e nei sondaggi pagano caramente la “coalizione Giamaica” con socialdemocratici e verdi.