“Oggi, al di là delle sue evidenti e gravi colpe, Massimo Ciancimino è diventato oggetto di vere campagne di opinione malevole ed esagerate su cui si accaniscono coloro che non gli hanno mai perdonato il peccato originale delle sue dichiarazioni: avere smosso le acque che dovevano restare immobili e i fatti sepolti nell’ombra dei segreti di Stato”.
Lo ha detto il pm Nino Di Matteo nel terzo giorno della requisitoria del processo sulla trattativa Stato-mafia parlando del super teste e imputato Massimo Ciancimino, attualmente detenuto.
“Massimo Ciancimino è un personaggio molto controverso – ha aggiunto – Non è vero che questo processo è stato fondato e imbastito solo sulle sue affermazioni anche se è stato certamente un testimone importante e privilegiato dei rapporti tra Vito Ciancimino e i vertici dei carabinieri del Ros”.
“Le sue prime dichiarazioni – ha proseguito Di Matteo – hanno consentito il recupero di memoria da parte di alcuni personaggi che quegli anni hanno vissuto e che fino a quel momento avevano taciuto, anche quando chiamati a testimoniare nei processi. Ad esempio Liliana Ferraro, Claudio Martelli e Luciano Violante”.
Dopo le considerazioni sul testimone Massimo Ciancimino, che è anche imputato al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, il pm Nino Di Matteo, al terzo giorno della requisitoria, ha parlato della seconda fase del patto che pezzi delle istituzioni, attraverso i carabinieri del Ros di Mario Mori, avrebbero avviato con Cosa nostra.
“Dopo l’esosità delle richieste presentate da Riina col papello e preso atto dell’impossibilità della loro accettazione, l’attenzione dei carabinieri si orienta verso Provenzano. Provenzano sapeva che – ha sostenuto Di Matteo – Vito Ciancimino stava parlando con i carabinieri e i carabinieri sapevano che il referente diretto di Ciancimino era Provenzano”.
Nella ricostruzione dell’accusa, dunque, dopo la strage di via D’Amelio la trattativa si evolve: l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, dopo averlo concordato con Provenzano, predispone una controproposta da presentare allo Stato, il cosiddetto contropapello. Ma dopo la morte di Paolo Borsellino il dialogo tra Ciancimino e il Ros ha anche un altro obiettivo: la cattura di Riina, “per togliere di mezzo – spiega Di Matteo – quel terminale scomodo, che pretendeva tutto e subito quello che certamente non si poteva concedere”.
“Gli odierni imputati – ha detto Di Matteo riferendosi all’ex capo del Ros Mario Mori e agli altri carabinieri imputati – hanno sempre falsamente spostato a dopo la strage di via D’Amelio i contatti e i dialoghi con Vito Ciancimino. E lo hanno fatto per un solo, semplice, motivo: erano ossessionati dal timore di essere considerati, in seguito alla scellerata iniziativa di trattare con la mafia, i responsabili morali del rafforzamento dell’attività stragista di cosa nostra, voluta da Salvatore Riina, e che causò quell’accelerazione improvvisa che portò all’omicidio di Borsellino, il 19 luglio 1992, appena 57 giorni dopo la strage di Capaci”.