Nino Cartabellotta è il presidente della Fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per La Medicina Basata sulle Evidenze). Internista, gastroenterologo, metodologo, ha deciso di dedicare tutta la sua vita professionale alla promozione dell’attività di formazione e ricerca in ambito sanitario secondo le metodologie della Evidence based Medicine.
Diffondere le conoscenze per migliorare la salute è il suo motto che condivido appieno. La sua visione è a 360° e spazia della metodologia della ricerca a quella relativa al buon management sanitario e alle scelte di politica sanitaria basate sulle migliori pratiche.
Prendere decisioni basate su solide prove di efficacia è fondamentale e tutti i livelli decisionali dovrebbero esserne permeati. Purtroppo la realtà è ben altra e il nostro SSN si trova in evidente sofferenza anche per questo.
Io stesso nel 2009 ho scritto, con un pool di esperti e su una rivista internazionale, il perché in Italia non si poteva realizzare la Clinical Governance, sistema che, se messo in atto avrebbe permesso un miglioramento continuo di tutto il sistema sanitario salvaguardandone la sostenibilità.
Purtroppo i metodi descritti in quel lavoro sono ben lungi dall’essere stati realizzati anche solo parzialmente. Da tempo Nino Cartabellotta promuove una campagna molto importante su questo tema che dovrebbe stare a cuore di tutti noi: “Salviamo il Sistema Sanitario Nazionale”.
Il SSN ha compiuto i suoi primi 40 anni ed è giusto chiedere al dottore Cartabellotta, da medico di sistema, alcune domande che ritengo cruciali e le cui risposte potrebbero fare riflettere decisori e professionisti.
Il Servizio Sanitario Nazionale ha compiuto 40 anni: qual è il suo stato di salute?
“Recentemente abbiamo definito il SSN un paziente cronico con multimorbidità con un precario stato di salute. La diagnosi principale è l’insufficienza respiratoria cronica restrittiva, ovvero un imponente definanziamento pubblico che dal 2010 al 2019 ha lasciato per strada circa 37 miliardi di euro con un incremento percentuale medio annuo del finanziamento pubblico (1%) nello stesso periodo inferiore all’inflazione media annua (+1,18%).
In Europa siamo ormai i primi tra i paesi poveri per spesa sanitaria. Dopo di noi solo Spagna, Portogallo, Grecia e i paesi dell’Est. Il SSN ha una diagnosi di ipertiroidismo severo con iperconsumo metabolico: ovvero, il “paniere” dei nuovi LEA è stato espanso all’inverosimile tanto che i nomenclatori tariffari sono ancora ostaggio del MEF per mancata copertura finanziaria. Gli sprechi e le inefficienze che si annidano a tutti i livelli identificano il lupus eritematoso sistemico, malattia autoimmune che colpisce tutti gli organi e gli apparati.
Secondo le nostre stime, ampiamente criticate in Italia ma confermate e citate dal recente report OCSE, il 19% della spesa sanitaria pubblica (circa € 20 miliardi) potrebbe essere recuperato e destinato ad un migliore utilizzo.
Sei le categorie di sprechi: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, (conseguenze del) sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza.
Infine, il SSN ha una infezione cronica da virus del papilloma umano, il cui DNA si integra nel genoma umano e può causare varie malattie, neoplasie incluse. E’ l’espansione incontrollata del “secondo pilastro” che, complice una normativa frammentata e incompleta, si sta facendo largo grazie a raffinate strategia di marketing periodicamente alimentate da allarmistici dati sulla rinuncia alle cure e indebitamento dei cittadini, che provengono da studi ampiamente discutibili finanziati proprio da compagnie assicurative. Purtroppo, sull’onda di un entusiasmo collettivo, non vengono adeguatamente valutati i numerosi effetti collaterali che il secondo pilastro rischia di produrre su vari “organi e apparati” del SSN. Infine, è bene ricordare che il SSN affetto da queste patologie ingravescenti vive in un habitat fortemente influenzato da due fattori ambientali: la (leale?) collaborazione con cui Stato e Regioni dovrebbero tutelare il diritto alla salute e le aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile, alimentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione”.
Questa diagnosi lascia presumere una prognosi infausta. Non stride molto con le eccellenti posizioni conquistate dal nostro SSN nelle classifiche internazionali?
“Assolutamente sì, ma non è la diagnosi ad essere errata, ma le modalità con cui vengono costruite e, spesso, strumentalizzate le classifiche. Due esempi: il sempre citato 2° posto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è relativo ad una pubblicazione del 2000 (su dati del 1997), ampiamente criticata per limiti metodologici) e mai più aggiornata. Bloomberg, che ci colloca al 4° posto nel mondo, mette in relazione la spesa sanitaria con l’aspettativa di vita alla nascita.
Considerato che questa dipende in larga misura da fattori genetici, ambientali, sociali e dagli stili di vita, più si riduce il finanziamento pubblico e più scaliamo la classifica. Se Bloomberg correlasse il finanziamento con l’aspettativa di vita a 65 anni in buona salute e libera da malattia, dove siamo fanalino di coda in Europa, indubbiamente il nostro SSN precipiterebbe in fondo alla classifica“.
La voce di spesa per il personale viene indicata come la più critica: ma è proprio vero che abbiamo troppi medici ed infermieri?
“Sul personale circolano troppe leggende metropolitane, non sempre confermate dai dati OCSE di seguito riportati. Per numero di medici occupati per 1.000 abitanti siamo poco al di sopra della media OCSE (3,8 vs 3,4) e come laureati in Medicina e Chirurgia in linea con la media.
Precipitiamo invece in fondo alla classifica per la percentuale di medici di età > 55 anni (53,3 vs 34,5), per il numero di infermieri occupati per 1000 abitanti (5,4 vs 9) e per rapporto infermieri/medici (1,4 vs 2,8). In estrema sintesi, abbiamo pochi infermieri e medici in attività con un’età media molto avanzata. Difficilmente, la programmazione del fabbisogno formativo a breve termine permetterà di colmare questi gap.
Relativamente alla spesa, è bene precisare che tra blocco del turnover e mancati rinnovi contrattuali dal 2004 al 2016 la spesa per il personale dipendente e per quello convenzionato di fatto è rimasta invariata. In altre parole, buona parte dei tagli alla sanità l’ha pagata il personale, sia in termini di riduzione delle assunzioni, sia in termini di mancato riconoscimento economico“.
Un’altra voce di spesa spesso vittima dei tagli è quella dei farmaci con poca attenzione all’appropriatezza prescrittiva: come risolvere la questione?
“Dal 2000 al 2016 è notevolmente diminuita la spesa farmaceutica convenzionata, non tanto per i tagli ma soprattutto per l’attuazione del meccanismo della distribuzione diretta, con inevitabile riduzione degli utili per le farmacie private. La spesa farmaceutica diretta, invece, sfora continuamente i tetti stabiliti praticamente in tutte le Regioni, anche per l’immissione sul mercato negli ultimi anni di farmaci molto costosi.
Purtroppo, il SSN valuta prevalentemente la spesa per farmaci e non la loro appropriatezza d’uso che non è solo in eccesso (sovra-utilizzo di farmaci inefficaci o inappropriati), ma anche in difetto (sotto-utilizzo di farmaci efficaci e appropriati), fenomeno particolarmente frequente nei pazienti con malattie croniche che sino al 50% dei casi non riescono a garantire la compliance.
Un ultimo dato: si parla tanto del superticket sulla diagnostica (che pesa “solo” 413 milioni nelle tasche dei cittadini), ma non viene portato all’attenzione pubblica il miliardo speso per la mancata fiducia nei farmaci equivalenti”.
Nonostante l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle cronicità i percorsi assistenziali restano focalizzati sulle malattie e non sulla complessità clinica del paziente: quale ruolo per la medicina interna ospedaliera anche nel rapporto col territorio?
“Oggi la maggior parte dei pazienti con una patologia o condizione cronica è affetto da almeno un’ulteriore cronicità: la multimorbidità, di fatto la norma tra gli anziani, riduce la qualità di vita e aumenta mortalità, polifarmacoterapia, reazioni avverse a farmaci e accessi non programmati ai servizi sanitari.
I pazienti affetti da patologie multiple rappresentano inoltre un’ardua sfida per i servizi sanitari, perché vengono spesso assistiti in maniera frammentata da vari professionisti attraverso diversi setting (cure primarie, specialistica ambulatoriali, ospedale, domicilio, etc.) con inevitabili problemi di coordinamento e comunicazione. Peraltro, nei soggetti con il bilancio tra rischi e benefici dei trattamenti è spesso incerto, visto che le evidenze scientifiche derivano per lo più da studi condotti su popolazioni selezionate, che tendono a escludere pazienti con patologie multiple.
Di conseguenza, linee guida e PDTA per singole malattie raccomandano test diagnostici e trattamenti potenzialmente non indicati nei pazienti con multimorbidità, aumentando i rischi, peggiorando la qualità di vita e generando ingenti sprechi.
Il ruolo dell’internista è fondamentale perchè i pazienti con patologie multiple spesso rimbalzano tra vari specialisti, servizi e setting assistenziali ed è indispensabile abbandonare l’approccio basato sulla gestione della singola malattia in favore di quello orientato alla multimorbidità, indipendentemente dalla variabilità dei modelli organizzativi regionali e aziendali per gestire la cronicità“.
Nino Cartabellota non ha dato semplici risposte ma ha posto, da par suo, diagnosi e terapia di un 40enne che potrebbe diventare tra non molto un malato moribondo. Mi sono permesso di sintetizzare le criticità che sottendono ad azioni specifiche. La ricetta che se ne ricava arriva in un momento cruciale per il nostro sistema sanitario regionale in cui nuovi commissari si sono appena insediati.
Sembra un supporto indispensabile per azioni di politica sanitaria che l’assessore Razza saprà recepire per pianificare scelte adeguate al fine di promuovere almeno un miglioramento del nostro sistema sanitario regionale se non la sua guarigione:
- LEA eccessivi rispetto alla copertura finanziaria;
- Dialogo poco costruttivo tra regioni e ministero;
- Troppa attenzione alla spesa farmaceutica e non all’appropriatezza di utilizzo (il sotto-utilizzo pericoloso se non più dannoso del sovra-utilizzo nelle malattie croniche);
- Soldi spesi a vuoto per mancata fiducia nei farmaci equivalenti;
- Sovra-utilizzo dei servizi con eccessiva medicalizzazione;
- Prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate;
- Frodi, abusi, acquisti a costi eccessivi;
- Complessità amministrativa;
- Personale sanitario insufficiente in particolare quello infermieristico;
- Eccessiva frammentazione dell’assistenza con PDTA orientati a singole malattie e non alla complessità di una popolazione sempre più anziana con multimorbidità;
- Inadeguato coordinamento dell’assistenza;
- Ruolo fondamentale dell’Internista per gestire le cronicità in modo unitario.
Ricordiamo che al centro di tutto ci stanno i bisogni dei pazienti ed è proprio per questo che dobbiamo impegnarci tutti per salvare il nostro SSN. Per affrontare tutte queste criticità abbiamo proprio bisogno di un’equipe multidisciplinare, e per evitare sprechi ed inefficienze, coordinata da internisti capaci!
Auguri di buon anno al nostro Sistema Sanitario Regionale e grazie ancora a Nino Cartabellotta per le sue sagge considerazioni.
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