Il terremoto che ha avuto come epicentro la città di Trapani si è esteso a tutta la Sicilia e le scosse si sono avvertite anche nei palazzi del potere regionale, e ancora di più hanno colpito la coscienza dei Siciliani, accentuando i sentimenti di sfiducia verso le istituzioni e la politica.
Questo non significa indulgere ad un uso strumentale delle vicende giudiziarie in corso, allentare i canoni di una cultura garantista per cui l’avvio di un’indagine coincide già con la colpevolezza degli indagati, anche se tale barbarico atteggiamento si è purtroppo consolidato anche per responsabilità di alcuni settori della politica e di alcuni organi di informazione.
E’ proprio in momenti cosi gravi, per quello che questa indagine significa per le istituzioni democratiche siciliane, che bisogna affidarsi al lavoro serio e rigoroso della magistratura che saprà certamente accertare, se esistono, le responsabilità delle singole persone.
Quello su cui invece la politica, almeno quella buona, è chiamata a riflettere, alla luce di questi avvenimenti, è il dato estremamente preoccupante che emerge: l’intreccio perverso, al di la delle responsabilità penali di cui appunto si occuperanno i giudici, tra settori della politica e dell’imprenditoria che utilizzano le istituzioni per creare un sistema di potere che soffoca lo sviluppo dell’Isola, mortifica le forze più dinamiche della società siciliana, strette nell’alternativa o di emarginarsi o di omologarsi, condannando la Sicilia a un immobilismo, ad un passato che rimane sempre presente, alla conservazione di privilegi che alimentano il brodo di coltura su cui prospera la corruzione, la mafia e l’illegalità.
Da questo punto di vista Trapani ha rappresentato storicamente il luogo dove la democrazia è stata pesantemente mortificata dal peso che hanno esercitato determinati poteri occulti, larga parte dell’imprenditoria omologata a questo sistema, con una mafia che non si limita a lucrare sull’economia ma a creare essa stessa economia.
Lo aveva capito molto bene Mauro Rostagno che pagò con la vita le sue coraggiose denunce che avevano alzato il velo su complicità e responsabilità.
Le vicende trapanesi suonano, infatti, come una sconfitta della classe politica attuale che nei comportamenti non ha tenuto della lezione e degli strumenti interpretativi che personalità come Rostagno, Pio La Torre, Pier Santi Mattarella, per citarne alcuni, ci hanno consegnati, tranne che commemorarli negli anniversari.
Siamo di fronte a una vicenda che ammaina definitivamente, e con amarezza, i propositi di rinnovamento sbandierati all’inizio di questa legislatura regionale e che si sono perduti via via nella riproposizione delle vecchie pratiche di occupazione del potere e dei meccanismi clientelari della spesa pubblica, altro che “le carte in regola” come propugnava Pier Santi Mattarella.
E dire che segnali che avevano messo in guardia sui pericoli di deragliamento dai binari del Buon Governo e del cambiamento promesso ai siciliani erano venuti anche da personalità, chiamate appunto a contribuire a questo cambiamento, come Nino Caleca che si dimise da assessore denunciando la “sua estraneità di fronte a incomprensibili ritorni al passato”, seguito da Lucia Borsellino che lasciò l’incarico di assessore alla Sanità “per ragioni etiche e morali”.
Due atti clamorosi che segnalavano un malessere e il pericolo di ritorno al passato e che invece di spingere ad una riflessione più attenta sulle motivazioni che stavano alla base di quelle decisioni, la risposta fu di insofferenza di fastidio. Ad assessore che va, c ‘è sempre un assessore che viene si disse, e la vicenda si chiuse frettolosamente, preoccupati solo di non mettere in discussione assetti di potere che si stavano consolidando e che le dimissioni dei due assessori potevano quanto meno scalfire.
E tuttavia, non bisogna rassegnarsi, e anche noi come scrisse nella sua lettera di dimissioni l’avvocato Caleca “continuiamo a sognare una politica nuova, pulita e trasparente per la Sicilia”.