Si avverte sempre più al giorno d’oggi un disagio interiore che danneggia contemporaneamente il corpo e la mente e che si manifesta all’interno di luoghi di reclusione, come il carcere. Ecco perché, per contrastare questo malessere incalzante, che colpisce non solo i detenuti, ma anche il personale delle strutture di detenzione, dall’11 luglio è partito nella Casa di Reclusione di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, un progetto di sperimentazione, il primo in Sicilia, caratterizzato dalla pratica della meditazione.
Il corso, dalla durata di due mesi, proposto dall’agente di polizia penitenziaria Marcello Bellomo, mira a sviluppare le energie positive interiori, in particolare, in tutti quei soggetti, che, come spesso accade, a causa della reclusione, esternano azioni violente o covano nell’animo la scelta del suicidio.
«La privazione della libertà, per i detenuti o utenti, – spiega Bellomo – lo scollamento dalla vita quotidiana , la vita di routine tra le mura, segnano parecchio, in modo particolare chi è innocente. I più deboli spesso mettono in atto l’autolesionismo, fino ad arrivare, in casi estremi, al suicidio. Per le ”guardie”, i poliziotti penitenziari. vivere questa quotidianità particolare con turni di servizio prolungati alle 8 ore e più, la mancanza cronica di personale, il pendolarismo che tiene lontani dalle famiglie, il frequente disinteresse da parte della politica, fa sì che si accumuli stress negativo con una casistica elevata di suicidi tra i più deboli».
«Per questo ho pensato di inserire la meditazione come strumento di recupero rivolto ai detenuti quando qualche settimana fa mi hanno chiesto cosa potevamo proporre agli utenti per il periodo estivo: da qui è nata l’idea del corso che tutti hanno accettato positivamente ed io mi sono attivato subito. Anche per chi lavora negli istituti penitenziari – ha concluso – dovrebbero essere previsti centri di ascolto e la possibilità di partecipare a corsi di meditazione».