La nota sulle stime sulla ricchezza dei settori istituzionali in Italia negli anni 2005-2022 elaborate dall’Istat e dalla Banca d’Italia, anche in confronto con altre economie avanzate conferma il trend di difficoltà della famiglie italiane e siciliane.I dati siciliani del report Cgia Mestre
Negli ultimi due anni, l’aumento dell’inflazione ha impattato pesantemente sui conti degli italiani. Ha influito così tanto che Cgia di Mestre paragona le stime di perdita del potere di acquisto ad una tassa patrimoniale.
Il confronto con le Regioni
Il dato quindi è superiore a quello del Trentino Alto Adige, che comunque rimane protagonista con le perdite più alte, che si è fermato ad un aumento dei prezzi al consumo del 15,3 per cento.
Secondo i dati dell’associazione Artigiani e Piccole Imprese è tutto il Sud a mostrare statistiche negative più contenute. Tre regioni su cinque segnano le perdite più basse d’Italia.

Nel “ranking per perdita a famiglia” la Sicilia è 13° al terzultimo posto, dimostrando una certa resistenza all’aumento dei prezzi causato dall’inflazione.
L’aumento dei prezzi causati dall’inflazione costa comunque alle famiglie della Sicilia una perdita di 4.415 euro e negli anni 2022 e 2023 l’inflazione in Sicilia ha portato ad aumento dei prezzi al consumo del 16 per cento. È il secondo aumento più alto in Italia, anticipato solo dal 16,4 per cento della Liguria.
A quelle della Calabria a 4.205. In Basilicata a 4.891 a nucleo. Superano i 5 mila euro le famiglie della Campania e della Puglia. Aggiungendo un’inflazione che è aumentata, rispettivamente, del 13,9 e 14,9 per prezzi al consumo.
Al contrario oltre 7 mila euro sono andati persi, a famiglia, in Liguria (7.107), Veneto (7.121) o Lombardia (7.432) posizionata alle spalle del Trentino.
Le province siciliane
Un dato positivo che viene confermato anche dal posizionamento in classifica provinciale.
Messina mostra il dato “peggiore” registrandosi 82° su 107 province considerate, Enna è 93°, Catania 95°, Caltanissetta 98°, Trapani 106esima. L’inflazione “ha morso” in Sicilia, ma molto meno che nel resto d’Italia.
I nove comprensori siciliani sono tutti posizionati, come detto, nelle zone più basse.

Messina, che è 82esima ha perso in potere di acquisto quasi 5 mila euro (4.955). Agrigento è invece 87esima, ha una perdita anche in questo caso superiore alla media regionale, pari a 4.759 euro a famiglia.
Le famiglie a Palermo (4.608 euro) sono riuscite a salvare dall’inflazione 151 euro rispetto quelle di Agrigento (4.795 euro), mentre Enna si posiziona al 94° posto con un perdite pari a 4.529 euro. Catania, 95°, rispetta invece la media regionali con 4.431 andati “in pasto” alla crescita dell’inflazione.
Scendono sotto la media quattro province siciliane che sono Caltanissetta, Ragusa, Siracusa e Trapani, nella classifica della Cgia Mestre posizionate rispettivamente al 98°, 99°, 105° e 106° posto nella classifica.
Un risultato positivo, in particolare per Siracusa e Trapani scese fin sotto i tre mila euro di perdite in potere di acquisto. In definitiva anche le province siciliane sono decisamente meglio posizionate rispetto ad altre nel resto d’Italia.
La provincia di Bolzano è quella che ha subito la maggiore perdita, con una media di 10.444 euro. seguita da Milano e Trento, con perdite medie di 8.677 euro e 8.048 euro rispettivamente.
Questi sono i calcoli che riguardano la spesa per i beni di consumo, a cui si aggiungono Imu o Tasi, imposte di bollo, bollo auto, canone Rai-Tv, imposta ipotecaria (1,8 miliardi), successioni e donazioni, insieme a tutte le altre imposte previste dalla Stato sul patrimonio degli italiani.
Fonte Dati: Report Ufficio Studi Cgia Mestre
Dati nazionali Istat sui risparmi degli italiani
Le attività finanziarie si sono contratte del 5,2%, principalmente per effetto della riduzione del valore delle azioni e degli strumenti del risparmio gestito. Dopo circa un decennio sono tornati a crescere i titoli di debito detenuti dalle famiglie, in buona parte emessi dalle amministrazioni pubbliche, mentre l’aumento dei depositi è stato contenuto, dopo il forte accumulo osservato nel triennio precedente.
Il valore degli immobili non residenziali è rimasto stabile, interrompendo la fase di contrazione in atto dal 2012. Al contrario, le attività finanziarie (5.135 miliardi) si sono ridotte del 5,2%, trainate dal calo del valore delle riserve assicurative (-146 miliardi), delle azioni (-101 miliardi) e delle quote di fondi comuni (-94 miliardi). La crescita dei depositi è sensibilmente diminuita (+15 miliardi, era stata di quasi +80 miliardi nella media del triennio precedente), mentre per la prima volta dal 2012 hanno ripreso ad aumentare le detenzioni di titoli di debito (+22 miliardi), principalmente emessi dalle amministrazioni pubbliche.
Le famiglie hanno riportato perdite in conto capitale, derivanti principalmente dalla svalutazione di riserve assicurative, quote di fondi comuni, azioni e titoli. Si è interrotta la crescita dei depositi delle società non finanziarie osservata durante la crisi pandemica.Dal lato delle passività, pari a 4.445 miliardi, il calo delle consistenze di azioni (-94 miliardi) e di titoli di debito (-20 miliardi) è stato quasi interamente determinato dalle riduzioni dei prezzi degli strumenti finanziari.
La crescita delle passività finanziarie (+2,8%) è riconducibile soprattutto alla componente dei prestiti.














