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L'analisi degli ultimi dati

Istat, il paradosso economico del Mezzogiorno: la crescita record del 2024 tra l’ombra del sommerso e il crollo demografico

mercoledì 24 Dicembre 2025

L’enigma del Sud Italia: il PIL corre, ma le culle restano vuote. L’occupazione cresce, ma si rinuncia al futuro e ai figli per motivi economici 

Alcuni dei dati Istat del 22 dicembre 2025 delineano un’Italia dai contrasti stridenti. Il Mezzogiorno si scopre inaspettata locomotiva economica, con Sicilia e Sardegna in testa alla crescita del PIL e un’occupazione che corre più velocemente della media nazionale. Tuttavia, questo dinamismo convive con fragilità strutturali profonde: un’economia sommersa che in Calabria tocca il 19% e un inverno demografico senza precedenti, con le intenzioni di fecondità crollate al 21%.

Tra successi statistici e incertezze esistenziali, analizziamo se la ripresa del Sud sia un solido cambio di passo o l’ultimo sussulto di un Paese che fatica a scommettere sul proprio futuro.

Istat

GLI ULTIMI DATI ISTAT

L’istantanea scattata dall’Istat restituisce l’immagine di un’Italia profondamente mutata, dove i vecchi schemi geografici della crescita sembrano essersi ribaltati, pur lasciando intatte le fragilità strutturali di sempre. Per la prima volta dopo decenni, il “motore” del Paese non ruggisce a Milano o a Treviso, ma tra le coste della Sicilia e le pianure del Campidano. Con un PIL in volume che cresce dell’1,8% nell’isola maggiore e dell’1,3% in Sardegna, il Mezzogiorno si riscopre locomotiva inaspettata di una nazione che, a livello nazionale, avanza con un più timido +0,7%.

Tuttavia, questo dinamismo economico, celebrato con entusiasmo dai vertici governativi come un “rafforzamento strutturale”, deve fare i conti con due ombre lunghe che rischiano di oscurare i successi statistici: la persistenza dell’economia non osservata e un crollo demografico che ha assunto i tratti di un’emergenza antropologica. Se da un lato si sottolinea con forza l’aumento del reddito disponibile delle famiglie meridionali (+3,4%) e una dinamica occupazionale che doppia il resto d’Italia, dall’altro i dati sulla “voglia di futuro” degli italiani sono gelidi. Solo il 21,2% dei giovani tra i 18 e i 49 anni intende avere un figlio nei prossimi tre anni.

Il paradosso è servito: il Sud produce di più, lavora di più e guadagna di più rispetto al passato recente, ma continua a essere il luogo dove l’economia “grigia” sottrae il 16,5% del valore aggiunto e dove fare un figlio è percepito, in un caso su tre, come un rischio finanziario insostenibile.

Con questo articolo analizziamo la complessa architettura dei dati Istat, cercando di capire se la crescita del 2024 sia l’inizio di una reale convergenza o se sia l’ultimo sussulto di un territorio che sta perdendo la sua risorsa più preziosa: le persone. Tra il massimo dell’evasione in Calabria e il minimo della natalità, si gioca la partita per la sopravvivenza del sistema Italia.

L’economia nell’ombra: il peso del sommerso

Non si può analizzare la crescita del PIL senza guardare a ciò che le statistiche faticano a vedere, ma che l’Istat riesce ormai a mappare con precisione millimetrica: l’economia non osservata. Nel 2023, la somma della componente sommersa e di quella illegale ha drenato l’11,3% del valore aggiunto nazionale. Ma è scendendo nel dettaglio territoriale che il dato diventa un atto d’accusa sociale. Il Mezzogiorno resta l’area dove l’economia “invisibile” pesa di più, toccando un’incidenza del 16,5%, contro il misero 8,9% del Nord-Ovest.

Il caso della Calabria è emblematico: qui l’economia non osservata rappresenta il 19% del valore aggiunto. Un quinto della ricchezza prodotta sfugge ai radar del fisco, ma non agli effetti distorsivi che genera sul mercato. Al polo opposto troviamo la Provincia Autonoma di Bolzano, dove il dato scende al 7,4%, un livello in linea con le migliori medie europee. Cosa compone questa massa oscura?

L’Istat identifica nella sotto-dichiarazione dei risultati economici (la cosiddetta “evasione da riscossione”) il fattore principale, che pesa per il 6% a livello nazionale. Segue il lavoro irregolare, che incide per il 4%.

Il lavoro nero non è solo una violazione fiscale; è una barriera allo sviluppo. Le oltre 3 milioni e 100 mila unità di lavoro irregolare censite rappresentano una platea di lavoratori senza tutele, senza contributi e, spesso, senza una prospettiva di stabilità che consenta progetti di vita a lungo termine. Sebbene l’incidenza sul PIL sia aumentata leggermente rispetto al 2022 (10,2%), il dato preoccupante è la resilienza di questo sistema nel Sud. In territori come la Campania o la Sicilia, il lavoro nero non è un’eccezione ma una componente strutturale che altera la concorrenza tra imprese: le aziende oneste, che pagano tasse e contributi, si trovano a competere con realtà che abbattono i costi attraverso l’illegalità.

Lavoro nero, Guardia di finanzaQuesta “economia del fango”, che include anche mance, fitti in nero e attività illegali (1,7% del totale), crea un soffitto di cristallo per la crescita. Quando un’economia è per quasi un quinto sommersa, la qualità dei servizi pubblici diminuisce, le infrastrutture degradano e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni crolla.

È in questo contesto che i segnali positivi del 2024 devono essere letti: una crescita del PIL in un contesto di alta illegalità economica è una vittoria a metà, perché una parte significativa della ricchezza prodotta non si traduce in benessere collettivo o in servizi per l’infanzia, alimentando indirettamente la crisi demografica che vedremo nei capitoli successivi.

La locomotiva del Sud: PIL e occupazione nel 2024

Il 2024 passerà alla storia come l’anno del sorpasso. Mentre le storiche regioni industriali del Nord-Est e del Nord-Ovest mostrano segni di stanchezza, con il Veneto e la Puglia in lievissima flessione (-0,1%) e l’Emilia Romagna ferma a un asfittico +0,2%, la Sicilia e la Sardegna hanno preso il comando della crescita nazionale. Il +1,8% siciliano non è solo un numero: è un segnale di vitalità che rompe il racconto di un Sud assistito e immobile.

costruzioni-ediliziaA cosa si deve questa performance? Secondo i dati Istat, il volano principale è stato il settore delle costruzioni, ancora sotto l’effetto inerziale dei bonus edilizi e dei primi cantieri del PNRR, insieme a un comparto dei servizi che ha beneficiato di una stagione turistica record. Anche il Lazio e la Lombardia tengono il passo (+1,2%), confermando che i grandi poli urbani restano resilienti, ma è la dinamica del Mezzogiorno nel suo complesso a stupire.

Il Governo ha definito questo quadro più volte come un rafforzamento strutturale del mercato del lavoro.  E i numeri sembrano dargli ragione: l’occupazione al Sud cresce del 2,2%, una velocità nettamente superiore alla media nazionale dell’1,6%.

Tuttavia, bisogna scavare sotto la superficie del PIL per comprendere la portata reale di questo benessere. Se è vero che il PIL pro capite meridionale è salito a 24,8 mila euro (rispetto ai 24 mila dell’anno precedente), il divario con il Nord resta una voragine. Nel Nord-Ovest, la ricchezza prodotta per cittadino supera i 46 mila euro. Siamo di fronte a una convergenza nei ritmi di crescita, ma non ancora nei livelli assoluti di ricchezza. Il reddito disponibile delle famiglie al Sud è cresciuto del 3,4%, superando il dato nazionale del 3,0%.

Ma questa crescita serve in gran parte a recuperare il potere d’acquisto eroso dall’inflazione degli anni precedenti, piuttosto che a generare nuovo risparmio.

Un altro dato che merita attenzione è la composizione settoriale di questa crescita. L’agricoltura nel Mezzogiorno ha registrato un +1%, doppiando la media nazionale, segno di una modernizzazione delle filiere agroalimentari meridionali. Ma l’industria in senso stretto soffre: le flessioni più marcate si registrano in Liguria (-1%) e Molise (-1,1%), aree dove la crisi della manifattura tradizionale pesa come un macigno. La crescita del Sud, dunque, appare più legata ai servizi e all’edilizia che a una vera rinascita industriale.

Questa euforia statistica sull’occupazione deve però fare i conti con la qualità del lavoro creato. Sebbene i contratti aumentino, restano le criticità legate ai salari bassi e alla precarietà, che spiegano perché, nonostante il “quadro positivo” delineato dal Governo, le famiglie non si sentano abbastanza sicure da investire nel futuro. Il PIL cresce, l’occupazione aumenta, ma la percezione di instabilità resta il sentimento dominante sotto la superficie dei numeri.

Il divario dei redditi e la prudenza del Nord

Nonostante la rincorsa del Mezzogiorno, la geografia della ricchezza italiana resta segnata da solchi profondi che i decimali della crescita annua faticano a colmare. Se il PIL misura la produzione, il reddito disponibile delle famiglie ci dice quanto effettivamente resta in tasca ai cittadini per vivere, consumare e risparmiare. Qui, il dato Istat è spiazzante: il reddito pro-capite nel Mezzogiorno si attesta mediamente a 17,8 mila euro, una cifra che rappresenta appena il 70% dei 25,9 mila euro percepiti mediamente da chi risiede nel Centro-Nord.

Questa disparità non è solo una statistica, ma una barriera alla qualità della vita. In Calabria, regione che abbiamo già visto primeggiare per economia sommersa, il reddito scivola al minimo nazionale di 16,8 mila euro. È un dato che stride con il costo della vita che, sebbene inferiore rispetto a Milano o Bologna, non è così basso da compensare un divario di quasi diecimila euro annui rispetto alla media settentrionale. Il paradosso del 2024 è che, nonostante l’aumento dei redditi al Sud sia stato più vivace (+3,4% contro il +3,0% nazionale), la capacità di accumulo resta precaria.

Parallelamente, si osserva un fenomeno speculare nel Settentrione: la “prudenza del Nord”. Mentre il Sud spende ciò che guadagna per necessità, nel Nord-Ovest i consumi sono cresciuti solo dell’1%, e nel Nord-Est sono rimasti sostanzialmente piatti (+0,1%). Questo ristagno non è dovuto a una mancanza di risorse, ma a una crescente incertezza psicologica ed economica che spinge le famiglie delle aree più produttive a risparmiare invece di investire. L’inflazione degli anni passati ha lasciato una ferita psicologica: anche dove il reddito è alto, la propensione al consumo si contrae per timore di futuri shock energetici o geopolitici.

Il quadro che emerge è quello di un’Italia frammentata: un Sud che prova a correre ma parte da una posizione di svantaggio strutturale estremo, e un Nord che, pur essendo il polmone finanziario del Paese, ha smesso di esercitare il ruolo di traino dei consumi.

Questa divergenza crea un equilibrio instabile. Se il Mezzogiorno non riesce a trasformare la crescita attuale in un aumento strutturale del reddito reale, e se il Nord non ritrova fiducia nei propri consumi, il rischio è che la “locomotiva Italia” rimanga senza binari su cui correre nel lungo periodo.

L’inverno demografico: Perché l’Italia non vuole più figli

Il dato più drammatico del report Istat non riguarda però i mercati o i conti pubblici, ma le culle. L’intenzione di avere figli è crollata in un solo anno dal 25% al 21,2% nella fascia d’età 18-49 anni. È la conferma che l’Italia è entrata in una fase di “inverno demografico” che non è più solo una proiezione statistica, ma una scelta consapevole di oltre 10,5 milioni di cittadini.

Perché gli italiani non vogliono più figli? La risposta dell’Istat è un atto d’accusa contro il sistema Paese: un terzo degli intervistati cita motivi economici. Non è solo povertà, ma percezione di instabilità. In un mercato del lavoro dove il precariato e il sommerso (che abbiamo visto pesare per l’11,3% nazionale) dominano le aspettative dei giovani, pianificare una nascita diventa un atto di azzardo finanziario. Il 9,4% indica condizioni lavorative inadeguate e l’8,6% la mancanza di un partner, segnale di una sfilacciatura dei legami sociali che accompagna la crisi economica.

Il dato di genere è ancora più allarmante: la metà delle donne italiane è convinta che l’arrivo di un figlio peggiorerebbe drasticamente le proprie opportunità di carriera. Non è una percezione infondata, ma la fotografia di un mercato del lavoro che ancora oggi penalizza la maternità. In questo contesto, la crescita dell’occupazione al Sud appare quasi “muta” se non accompagnata da servizi. Se il lavoro che cresce è quello stagionale, nel turismo o nell’edilizia, si tratta di impieghi che mal si conciliano con la stabilità necessaria a fondare una famiglia.

C’è poi il fenomeno del postponement: il 32,6% di chi non vuole figli “ora” non esclude di volerli “in futuro”. Tuttavia, questo futuro continua a slittare in avanti, scontrandosi con i limiti biologici della fertilità.

Le richieste dei cittadini sono chiare: il 28,5% chiede sostegni economici diretti, il 26,1% servizi per l’infanzia (asili nido, tempo pieno a scuola) e il 23,1% agevolazioni per l’acquisto della casa. Senza queste tre gambe — reddito, servizi, casa — la crescita del PIL resta un esercizio contabile che non genera vita.

Il legame tra l’economia sommersa) e questo aspetto demografico è evidente: dove regna il nero, non c’è congedo parentale, non c’è mutuo garantito, non c’è certezza del domani. L’economia “invisibile” che droga il PIL della Calabria e di altre aree del Sud è la stessa che sterilizza la popolazione.

Se l’Italia non inverte questa rotta, la crescita dell’occupazione del 2,2% nel Mezzogiorno sarà solo un dato passeggero in un territorio destinato allo spopolamento e all’invecchiamento precoce, dove non ci sarà nessuno a raccogliere l’eredità della ricchezza prodotta oggi.

Sottosegretario Sbarra: i dati Istat delineano per il 2024 un quadro positivo per il Sud

Luigi Sbarra

“I più recenti dati Istat delineano per il 2024 un quadro positivo per il Mezzogiorno, che si conferma l’area del Paese con la dinamica occupazionale più sostenuta. L’occupazione nel Sud cresce infatti del 2,2% rispetto all’anno precedente, un ritmo nettamente superiore alla media nazionale dell’1,6% e più elevato rispetto a tutte le altre ripartizioni territoriali. Un segnale chiaro di rafforzamento strutturale del mercato del lavoro meridionale”. È quanto afferma in una nota il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al Sud, Luigi Sbarra.

 “I più recenti dati Istat delineano per il 2024 un quadro positivo per il Mezzogiorno, che si conferma l’area del Paese con la dinamica occupazionale più sostenuta”, aggiunge il sottosegretario alla presidenza del Consiglio osservando cheL’occupazione nel Sud cresce infatti del 2,2% rispetto all’anno precedente, un ritmo nettamente superiore alla media nazionale dell’1,6% e più elevato rispetto a tutte le altre ripartizioni territoriali. Un segnale chiaro di rafforzamento strutturale del mercato del lavoro meridionale”.
“Nel complesso – conclude Sbarra – i dati Istat restituiscono l’immagine di un Mezzogiorno in crescita, capace di esprimere un aumento occupazionale diffuso e di porre basi più solide per lo sviluppo economico. Un segnale incoraggiante che rafforza il ruolo del Sud come leva strategica per la crescita complessiva del Paese”.

Quali politiche servono per una crescita sostenibile?

I dati Istat del 2024 ci consegnano un Paese che sta provando a reagire, ma che lo fa con strumenti spuntati. Il Mezzogiorno è senza dubbio la sorpresa positiva dell’anno: la crescita del PIL in Sicilia e Sardegna e l’aumento dell’occupazione sono segnali che non possono essere ignorati. Tuttavia, l’ottimismo espresso dal Sottosegretario Sbarra deve essere temperato da una riflessione sulla sostenibilità a lungo termine di questo modello. Una crescita trainata dai bonus edilizi e dai servizi, in un contesto dove il sommerso sfiora il 20% in alcune regioni, rischia di essere un fuoco di paglia.

corteo-lavoroLa vera complessità da affrontare per il Governo e per le istituzioni non è solo mantenere il segno “più” davanti al PIL, ma trasformare questa ricchezza in capitale sociale. Il legame tra l’economia non osservata e il crollo della natalità è la chiave di volta di tutto il report: l’illegalità economica genera precarietà esistenziale, e la precarietà spegne il desiderio di futuro. Per far sì che il Sud diventi davvero una “leva strategica per la crescita”, come auspicato dalla nota governativa, occorre una lotta senza quartiere alla sotto-dichiarazione e al lavoro irregolare, trasformando i 3,1 milioni di lavoratori “fantasma” in cittadini con diritti e tutele.

L’Italia si trova a un bivio. Può accontentarsi di essere un Paese che cresce dello 0,7% grazie a exploit regionali temporanei, o può decidere di affrontare le cause profonde del suo declino demografico. Se la metà delle donne continua a vedere nel figlio un ostacolo al lavoro, nessuna crescita del reddito disponibile potrà mai bastare a invertire la rotta.

In conclusione, i dati dell’Istat sono un monito: l’economia è un organismo vivo che si nutre di fiducia e legalità. Senza una seria politica di supporto alla famiglia, di emersione del sommerso e di riduzione reale del divario dei redditi tra Nord e Sud, la “locomotiva” meridionale rischia di correre verso un vicolo cieco demografico.

Il 2024 ha dimostrato che il Sud ha le energie per crescere; spetta ora alla politica trasformare queste energie in un progetto di Paese che torni a scommettere sulla vita, oltre che sui numeri.

FONTE DATI: Parte dei dati del report Conti economici territoriali – 2022-2024 Istat

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