Un nuovo orizzonte per l’automazione globale per centri logistici e fabbriche
È un momento storico per l’automazione industriale: UBTECH Robotics, gigante cinese della robotica quotato a Hong Kong, ha annunciato l’inizio della consegna in massa del suo robot umanoide di punta, il Walker S2. Centinaia di unità sono già state spedite a partner industriali, tra cui importanti case automobilistiche e colossi della logistica come SF Express, con l’obiettivo di trasformare i processi produttivi e rispondere alla crescente carenza di manodopera in Cina.
Autonomia energetica e capacità senza precedenti
Il punto di forza che distingue il Walker S2 da qualsiasi altro robot umanoide attualmente sul mercato è la capacità di sostituire autonomamente la propria batteria in meno di tre minuti, senza alcun intervento umano. Un’innovazione definita dal Chief Brand Officer Michael Tam come il “sistema di batterie scambiabili a caldo leader a livello mondiale”.
Questo elimina i tempi morti legati alla ricarica, rendendo il robot operativo 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Il sistema si basa su un design a doppia batteria da 48 volt e su un algoritmo di gestione intelligente che monitora in tempo reale i livelli energetici, guidando il robot verso la stazione di scambio quando necessario.
Specifiche tecniche e capacità operative
Alto 1,76 metri e pesante 43 kg, il Walker S2 è progettato per muoversi in ambienti pensati per gli esseri umani senza richiedere modifiche sostanziali alle linee produttive. Dispone di 52 gradi di libertà e di braccia bioniche capaci di sollevare fino a 15 kg con precisione millimetrica, eseguendo movimenti complessi come accovacciarsi, mantenere l’equilibrio su superfici irregolari o ruotare la vita di ±162°.
Il sistema percettivo è basato su sensori visivi stereo binoculari RGBD ad alta risoluzione, che garantiscono una comprensione tridimensionale dell’ambiente simile a quella umana.
Un’intelligenza collettiva: BrainNet 2.0 e Co-Agent
Il cuore cognitivo del Walker S2 è un sistema AI dual-loop composto da:
BrainNet 2.0, una rete neurale distribuita che permette a più robot di collaborare e coordinarsi su compiti complessi;
Co-Agent, il primo “agente industriale” sviluppato da UBTECH, progettato per guidare i robot nelle attività di linea e nelle operazioni standardizzate.
Queste piattaforme consentono ai Walker S2 di esplorare, mappare e prendere decisioni autonome, inclusa la scelta tra ricarica o sostituzione batteria in base alle priorità operative.
Geopolitica dell’innovazione: Cina contro Stati Uniti, l’Europa in mezzo, l’Italia alla finestra
La commercializzazione su larga scala del Walker S2 non è solo un traguardo tecnologico: è un tassello della più ampia competizione geopolitica che ruota attorno a intelligenza artificiale, automazione avanzata e controllo delle filiere strategiche.
La Cina sta accelerando più di ogni altro attore globale sull’integrazione tra AI e produzione reale, trasformando fabbriche e centri logistici in sistemi altamente automatizzati. Il Walker S2 ne è l’emblema: un umanoide industriale prodotto in serie, pronto per la distribuzione e concepito per sostituire o integrare manodopera nelle attività ripetitive o a basso valore aggiunto.
Gli Stati Uniti seguono un approccio diverso. Pur dominando l’AI generativa e i modelli fondativi, le aziende americane della robotica umanoide — Tesla, Figure, Agility Robotics — restano in fase prototipale o di test interno. L’elemento decisivo è proprio la capacità cinese di passare dalla dimostrazione alla produzione di massa, evitando il “valle della sperimentazione” che caratterizza molte tecnologie occidentali.
La Russia rimane fuori da questa corsa: la priorità alla spesa militare e le sanzioni limitano fortemente la competitività nel settore civile dell’automazione avanzata.
L’Europa si ritrova invece in una posizione intermedia. Forte nella robotica industriale tradizionale, meno nella robotica umanoide e negli algoritmi avanzati. Aziende come Mercedes e Volkswagen stanno testando umanoidi americani, ma nessun operatore europeo è vicino a un prodotto competitivo su vasta scala. La mossa di UBTECH rischia di creare un solco ancora più ampio tra la capacità asiatica di industrializzare l’innovazione e il ritmo più lento dell’ecosistema europeo.
Per l’Italia, e in particolare per il Mezzogiorno, questa transizione apre un doppio scenario. Da un lato, la possibilità di integrare umanoidi autonomi in aree strategiche — porti, logistica, manifattura avanzata, agroalimentare — rafforzando la posizione del Mediterraneo come snodo produttivo ed energetico. Dall’altro, il rischio di diventare semplici importatori di tecnologie sviluppate altrove.
Le Zone Economiche Speciali, le grandi infrastrutture portuali e la trasformazione del sistema logistico mediterraneo potrebbero fare del Sud un laboratorio europeo dell’automazione “incarnata”. Ma ciò richiede politiche industriali coerenti, investimenti e un ecosistema di ricerca in grado di dialogare con le grandi piattaforme globali dell’AI.
La domanda geopolitica è dunque chiara: l’Italia e l’Europa vogliono partecipare da protagoniste alla nuova rivoluzione produttiva, o limitarsi a ospitare tecnologie altrui?
Prospettive future e impatto sul mercato mondiale: cambia lo scenario globale
Negli ultimi anni, la robotica umanoide è diventata uno dei terreni più competitivi dell’innovazione globale, una corsa che coinvolge governi, colossi tecnologici e startup che scommettono su una trasformazione radicale del lavoro e dei sistemi produttivi.
La Cina è avanti proprio grazie ad aziende come UBTECH, che ha già portato robot umanoidi dentro le fabbriche, ma Stati Uniti, Europa e altri attori asiatici stanno accelerando per non lasciare a Pechino il ruolo di definire lo standard del futuro. Ciò che rende questa sfida particolarmente complessa, e difatti strategica, è la questione della componentistica critica: servomotori, riduttori armonici, sensori di forza, chip per l’AI in locale.
È l’hardware avanzato a determinare ciò che un umanoide può o non può fare. È l’hardware a stabilire i limiti della concorrenza.
Negli Stati Uniti, la dinamica è ancora una volta affidata alla sinergia fra iniziativa privata e intervento federale. Figure.ai, fondata da Brett Adcock, rappresenta bene questa alleanza. Il robot Figure 01 è tra i prototipi più promettenti al mondo, pensato per entrare realmente nelle catene produttive. La rete di partnership parla da sola: BMW come banco di prova industriale, OpenAI per l’intelligenza multimodale, Microsoft per la potenza di calcolo, Nvidia per chip ottimizzati per controllo motorio e visione.
A questo si aggiunge il capitale di Jeff Bezos e di altri investitori della Silicon Valley.
Tuttavia, dietro l’immagine futuristica dei video promozionali si nasconde una vulnerabilità che gli stessi americani riconoscono: buona parte della componentistica delicata, quella che consente alle articolazioni di muoversi con fluidità e precisione, oggi viene dall’Asia. Figure.ai sta infatti cercando di costruire una filiera più indipendente per attuatori compatti, riduttori, motori brushless ad alta coppia e batterie. Non è soltanto un’esigenza tecnica: è una questione geopolitica.
La stessa logica guida il progetto Optimus di Tesla, che Elon Musk ha impostato su un principio quasi ossessivo: controllare internamente la maggior parte dei componenti critici. Tesla sta sviluppando motori e riduttori propri, batterie su misura e sistemi di visione ereditati dal programma di guida autonoma delle auto. L’obiettivo è quello di abbattere i costi e, allo stesso tempo, evitare dipendenze da Paesi considerati strategicamente delicati. A differenza di altri concorrenti, Tesla ha il vantaggio di un apparato industriale già colossale, capace di costruire e testare rapidamente grandi volumi di hardware.
Boston Dynamics rimane il nome simbolo della robotica avanzata americana, un marchio che da anni definisce ciò che è possibile nel campo del movimento dinamico. Ma l’azienda, pur eccellendo nel controllo motorio, è più indietro sul fronte della produzione su larga scala. I prototipi come Atlas o Stretch sono straordinari dal punto di vista meccanico, ma costosi e difficili da replicare in migliaia di unità. Il tema torna sempre lì: la componentistica di alto livello non è semplice da produrre, né economica da scalare.
Il governo degli Stati Uniti ha riconosciuto questa debolezza e ha iniziato a intervenire direttamente. La National Science Foundation finanzia progetti sulla robotica cognitiva e l’edge computing, mentre il Dipartimento della Difesa sostiene programmi dedicati a robot per logistica, manutenzione e operazioni in ambienti ostili. Tutto è legato a un obiettivo preciso: ricostruire una supply chain domestica per chip, sensori avanzati, materiali magnetici e riduttori, evitando le dipendenze dalla Cina che negli ultimi anni hanno creato preoccupazioni sulla sicurezza tecnologica.
Dall’altra parte dell’Atlantico, l’Europa vive una situazione diversa: qui domina l’eccellenza scientifica, ma l’integrazione industriale è più lenta. Il DLR tedesco, centro aerospaziale noto per robot come TORO e Rollin’ Justin, ha sviluppato tecnologie di controllo motorio sofisticatissime. L’Italia, con l’IIT e il progetto iCub, ha fatto scuola nella robotica cognitiva e nella telepresenza immersiva. La Francia, con il CNRS e i programmi legati alla difesa, sta costruendo piattaforme umanoidi orientate ad applicazioni complesse. Eppure, tutti condividono la stessa fragilità: la dipendenza dalla componentistica asiatica. Riduttori armonici e attuatori ad alta coppia vengono quasi sempre dal Giappone, motori brushless e sensori tattili avanzati spesso dalla Cina. I programmi europei come Horizon Robotics provano a colmare il divario, ma la capacità di trasformare la ricerca in produzione industriale resta limitata.
Mentre Stati Uniti ed Europa inseguono, Giappone e Corea occupano uno spazio intermedio, strategico soprattutto per la filiera dei componenti. Il Giappone, pur avendo lasciato alle spalle l’epoca di Asimo, domina ancora due settori cruciali: i riduttori armonici (con Nabtesco) e i servomotori di precisione (con Maxon, Faulhaber e altri produttori). Senza questi componenti, nessun robot umanoide è in grado di compiere movimenti fluidi, mantenere l’equilibrio o manipolare oggetti con delicatezza. La Corea del Sud, dal canto suo, ha puntato su un modello industriale simile a quello americano: grandi conglomerati come Samsung e Hyundai stanno investendo in attuatori proprietari, sensori avanzati e batterie allo stato solido, mentre il governo finanzia programmi orientati alla robotica per la logistica e la manifattura.

Perfino gli Emirati Arabi Uniti hanno compreso il potenziale strategico degli umanoidi: stanno acquistando tecnologie estere, attirando startup e costruendo poli di sperimentazione che potrebbero trasformare il Golfo in un laboratorio ad alta velocità. È una strategia “fast-forward”, tipica del modello emiratino: importare, integrare, adattare, accelerare.
Per la Cina quindi il vantaggio tecnologico è enorme, e non soltanto per le dimensioni del mercato o per la capacità di investire risorse pubbliche. La differenza reale è la filiera interna, completa, integrata e rapidissima. Aziende come UBTech, Fourier Intelligence e Unitree operano all’interno di un ecosistema produttivo dove tutti i componenti — dai motori agli encoder, dai riduttori ai chip di inferenza — possono essere prodotti, ottimizzati e scalati senza uscire dai confini nazionali. Questo consente iter di sviluppo a velocità impensabile per competitor occidentali.
Il robot Walker S2 e i nuovi umanoidi presentati non sono soltanto dimostrazioni ingegneristiche; sono macchine già testate nella logistica, nella sicurezza, nell’assemblaggio leggero. La Cina non punta su prototipi spettacolari: punta sulla produzione.

Il governo ha annunciato l’obiettivo di arrivare a una capacità installata di mezzo milione di robot umanoidi all’anno entro il 2035, un traguardo che richiede un ecosistema industriale immenso e altamente coordinato.
La componente più significativa è che la Cina sta diventando sempre più autosufficiente anche nei segmenti storicamente dominati da altri: i riduttori armonici prodotti da aziende cinesi stanno raggiungendo livelli competitivi rispetto ai colossi giapponesi; i chip per l’intelligenza artificiale prodotti da SMIC e da nuove aziende sostenute dallo Stato migliorano di anno in anno; i sensori tattili e i sistemi di visione sono ormai integrati direttamente nella catena produttiva nazionale. Tutto questo crea un vantaggio difficilmente recuperabile da Stati Uniti ed Europa, almeno nel breve periodo.
La partita sugli umanoidi passa nel settore della produzione industriale e nelle fabbriche
Di fronte a questo scenario, è evidente che la partita sugli umanoidi non si giocherà soltanto nei laboratori né nelle conferenze dedicate all’intelligenza artificiale. Si giocherà nelle fabbriche, nelle fonderie di semiconduttori, nei distretti che producono motori, materiali magnetici, ingranaggi di precisione. Il software è importante, ma senza la componentistica critica resta un esercizio teorico.
Il futuro degli umanoidi sarà deciso da chi saprà costruire la macchina reale, non soltanto immaginarla. In questo momento la Cina è avanti, gli Stati Uniti stanno mobilitando capitali e politiche industriali senza precedenti, l’Europa rischia di rimanere intrappolata nella distanza fra eccellenza scientifica e lentezza produttiva. La sfida è globale, e soprattutto è industriale: chi controllerà la supply chain controllerà il robot del futuro. E, con esso, una parte importante del mondo che verrà.
La consegna di massa del Walker S2 dimostra che i robot umanoidi non sono più un esercizio di ricerca, ma strumenti pronti per essere integrati nella produzione su larga scala. UBTECH prevede di consegnare tra le 500 e le 1.000 unità nel 2025, con ordini già superiori agli 800 milioni di yuan (circa 113 milioni di dollari).
La collaborazione con partner come Foxconn e SF Express conferma che l’adozione riguarda settori cruciali delle catene di approvvigionamento globali.
La Cina ha identificato la robotica umanoide come settore chiave della modernizzazione industriale e sta costruendo una filiera completa, sostenuta da capitali pubblici e privati. Mentre altre aziende — come Boston Dynamics o Tesla — mantengono un approccio graduale, la strategia di UBTECH punta alla scalabilità immediata.
Gli analisti prevedono che il mercato globale degli umanoidi possa raggiungere cifre altamente significative entro il 2035, e l’ingresso anticipato della Cina nella produzione seriale offre un vantaggio competitivo potenzialmente duraturo.
La rivoluzione dell’automazione incarnata, per la prima volta, è uscita dai laboratori.




