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La palude dell’Ars, da luogo del privilegio a pantano dell’illusione

domenica 25 Giugno 2017
Assemblea regionale siciliana

Palermo. La palude dell’Ars. Da luogo del privilegio a pantano dell’illusione, dove le sequenze del passato scorrono con maggior effetto del presente, farcito di poco e niente.

Il futuro eventuale è più importante di quello prossimo. Una regola che i politici siciliani hanno da sempre apprezzato. E quindi concretezza spicciola, piccolo cabotaggio, magari, ma sopravvivenza.

È dura reinventarsi ogni giorno un contatto e una collocazione con l’elettore che invece, quando ancora se ne occupa, li pesca sempre di più dal lato sbagliato delle cose e li punisce nelle urne dove i ‘grillini’ fanno ancora tanta paura. Meno di quella che facevano prima delle elezioni amministrative dello scorso 11 giugno. Più di quel che si è disposti a riconoscere.

Questa dunque la dura legge dell’Ars di questi tempi. Saldi di fine legislatura. Sconti. Clima da ultimi giorni dell’impero. Si esce in 90, si rientrerà in 70. La ‘profanazione’ del numero perfetto (90, 10 per ogni provincia, quanti erano, casualmente, i componenti dei Co.Re.Co, i vecchi comitati regionali di controllo) avvenne con legge dell’Ars a fine 2011. Tra qualche mese, in occasione delle prossime elezioni regionali,  se ne apprezzerà il concreto riflesso numerico e pratico nel parlamento siciliano.

L’Assemblea regionale siciliana non va oltre i piccoli passi per discutere ‘il collegato’, la finanziaria-bis, il Bignami del libro dei sogni, inizialmente appesantito da oltre 1100 emendamenti e  poi reso più agile da Ardizzone che ne ha stralciato una parte, che non decolla.

Un parlamento che quando ha legiferato, poco e male,  si è fatto impugnare tutto ciò che era possibile farsi impugnare da Roma. Dalla legge sulle Province a quella sul sistema idrico, per arrivare alla riforma sugli Urega. Un costosissimo parcheggio legislativo che rischia di diventare un cimitero per molte opportunità mancate.

Una vicenda paradigmatica più per metafora che non per rilevanza specifica è quella dell’addio di Venturino al Psi-Pse- uno dei tanti gruppi e gruppuscoli nati dalla frammentazione, dalla decomposizione e ristrutturazione dei cambi di casacca. Eletto vice presidente dell’Ars con un blitz d’Aula a scapito di Mariella Maggio (Pd) nei 5 Stelle, Venturino cominciò la legislatura a colpi di video nei confronti dei cronisti e la conclude dopo avere lasciato «quelli del Megafono», alternando opposizione iniziale e appoggio intermittente e misericordioso a Crocetta. La sua attitudine alla migrazione rischia di finire qui.

A metà legislatura un deputato su due aveva cambiato squadra e non a caso Musumeci propose sanzioni per i ‘migranti della casacca’, ma la proposta creò quasi il gelo.

Il politico siciliano non sempre comprende che ha bisogno di ancorarsi alla lucida realtà delle cose.  È  la natura. Inutile insistere. Quando lo capisce si occupa di proiettare la precarietà ( vedi LSU-Pip e lavoratori di enti locali) in un palcoscenico indefinito, un muro di gomma da verso cui orientare il futuro delle generazioni che attendono da 20 anni la parola fine.

Venerdì scorso in un’apprezzata presentazione di una pubblicazione sui vitigni autoctoni, organizzata dall’assessore Cracolici, la sala Mattarella era stracolma. Per il resto il Palazzo dava di sé un’immagine quasi spettrale. Desertificata.

Alla fine qualcuno  si avvicina a Cracolici e gli dice :«bisognerebbe trovare un clone tuo Antonello». Lui, che all’Ars non dovrebbe tornare, per raggiunto limite di legislature, a meno di deroghe concesse dai DEM sorride e non risponde.

O ancora un altro assessore del Pd che attende l’ascensore e va di corsa:«Se mi candido alle nazionali o alle regionali?… Mi candido dove si vota prima, non si può restare fermi quattro mesi». Già. Chi si ferma è perduto.

All’Ars lo sanno da sempre. E sanno anche che chi cammina piano va lontano. La Sicilia lo ha imparato a proprie spese.

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