Sono passati 21 anni dalla tragica morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia ed ex militante di Cosa Nostra Santino Di Matteo. Giuseppe viene sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, otto giorni prima di compiere il suo quindicesimo anno. Il rapimento risale al 23 novembre del 1993, nei pressi di un maneggio che spesso il piccolo frequentava, per ordine del boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca, allora latitante, in seguito alle rivelazioni di Santino sulla strage di Capaci e sull’uccisione di Ignazio Salvo. Al rapimento prese parte anche Gaspare Spatuzza che, come Brusca, divenne poi collaboratore di giustizia; stando alle parole di Spatuzza i sequestratori si sarebbero travestiti da poliziotti ingannando il bambino che sperava di rivedere il padre in quel periodo sotto protezione lontano dalla Sicilia.
Nei giorni seguenti arrivarono due messaggi anonimi su dei biglietti; nel primo vi era scritto “Tappaci la bocca”, ed era accompagnato da due foto del piccolo Giuseppe mentre teneva in mano un quotidiano del 29 novembre 1993, nel secondo c’era scritto “Il bambino lo abbiamo noi e tuo figlio non deve fare tragedie” e giunse durante le ore della sera nello stesso giorno in cui la madre del bambino presentò la denuncia della scomparsa.
Santino non si perse d’animo e tentò di cercarlo con l’ausilio degli altri collaboratori di giustizia Balduccio Di Maggio e Gioacchino La Barbera; il piccolo Giuseppe, intanto, dopo vari spostamenti in Sicilia, fu rinchiuso in un bunker a San Giuseppe Jato, dove rimase fino all’omicidio avvenuto esattamente 21 anni fa.
Con la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo ed il pentimento di “Mezzanasca” Santino Di Matteo, sordo dinanzi agli innumerevoli tentativi di Cosa Nostra di convincerlo a ritrattare le sue confessioni, Giovanni Brusca ordinò così l’uccisione del ragazzo che venne strangolato e successivamente sciolto nell’acido da Vincenzo Chiodo, Enzo Salvatore Brusca, fratello di Giovanni, e Giuseppe Monticciolo, individuati come esecutori materiali.
Il monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, ricorda il piccolo Di Matteo durante la cerimonia commemorativa in un messaggio: “Esprimo a nome di tutta la Chiesa di Monreale la più dura condanna per chi ha commesso” l’”atroce delitto” – continua con il dolore sul volto – “Un fatto che denota la mancanza del santo timor di Dio e dei valori morali fondamentali a partire dalla la sacralità della vita umana e dal rispetto degli elementari diritti dei bambini”. Sono passati ventuno anni ma il ricordo ed il dolore sono fissi nella memoria. “Alla radice di questo e di altri orrendi delitti c’è l’asservimento al potere del maligno che è definito da Gesù ‘omicida fin da principio‘; non possiamo dimenticare coloro che brutalmente lo hanno ucciso, come i mandanti e i complici di questo orrendo delitto – conclude il monsignor Pennisi – Anche se essi dovessero sfuggire alla giustizia umana, se non daranno segni di vero pentimento e di riparazione del male fatto, non sfuggiranno alla giustizia di Dio. L’invito che come Chiesa ci sentiamo di rivolgere a loro è la conversione”.
Poi un appello al mondo religioso. “Il compito della Chiesa è aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’humus dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo”.