Ieri il leader della lega Matteo Salvini, commentando l’uscita dalla maggioranza in Sicilia, ha liquidato tutto a una rapida sintesi: “A noi e al nuovo ha preferito il vecchio e Cuffaro”. Senza volerlo, ha fatto al neonato governo di centrodestra un implicito e forse involontario augurio.
Il binomio infatti che lega le coalizioni di governo al centro siciliano è essenziale, piaccia o no, al mantenimento degli equilibri d’Aula e della maggioranza.
Centristi d’altura decisivi anche nella precedente legislatura. Adesso oltre all’Udc rinato dopo le ultime competizioni elettorali, c’è anche la sponda autonomista di Raffaele Lombardo a consolidare il primo governo a guida di destra della Sicilia.
Non è un caso che per quanto riguarda la trattativa per la nascita del nuovo governo, la partita di Cesa è risultata la più laboriosa rispetto alla scelta dei nomi.
Dopo la prima fase in cui il nome di Margherita La Rocca Ruvolo sembrava il favorito, il confronto si era spostato nelle province.
L’ipotesi dell’ingresso in giunta del messinese Sidoti, candidato alle ultime regionali e piazzatosi alle spalle di Cateno De Luca e Danilo Lo Giudice aveva creato una prima complicazione. Un accordo solo parziale era stato raggiunto sul nome di Pietro Alongi, proveniente dalle file di Alternativa popolare e primo dei non eletti a Palermo (oltre 8mila voti), mentre la possibilità di scegliere la siracusana Costanza Castello ha di fatto aperto le porte a una convergenza sul nome di Figuccia da parte anche di Ester Bonafede, che con il deputato palermitano aveva trovato il modo di rilanciare il simbolo dello scudocrociato nelle ultime amministrative palermitane.
Se la maggioranza di Musumeci perde un pezzo (il salviniano Rizzotto) è un problema che può rientrare. Ma se la cinghia di trasmissione della neonata maggioranza comincia a non funzionare bene, le cose si complicano.
Scontenti e delusi non ne mancano anche in Forza Italia.
Primo tra tutti D’Alì a Trapani che in una nota ha dichiarato: “Rassegno le mie dimissioni da coordinatore provinciale di Forza Italia”.
Il senatore Antonino d’Alì sembra non accusare un malessere politico isolato,ma inquadra la vicenda in un contesto che viene complessivamente ritenuto meno affidabile: “L’assoluta superficialità e noncuranza con cui viene considerato il partito trapanese – dice D’Alì – nonostante come sempre la provincia sia stata tra le prime, seconda su nove, in percentuale di consensi per Forza Italia, è a dir poco offensiva. Già in sede di formazione delle liste eravamo andati incontro a ‘superiori esigenzè di partito e di coalizione accantonando la candidatura di Giuseppe Guaiana, primo degli eletti di tutte le liste alle due ultime elezioni amministrative trapanesi“. D’Alì aggiunge: “A riconoscimento di quel gesto di disponibilità verso la richiesta del coordinatore Miccichè, era stata deliberata dal partito regionale la sua inclusione nella squadra di governo della Regione, e poi annunciata durante un incontro con la stampa dallo stesso coordinatore siciliano del partito”.
Guaiana invece non fa parte della giunta Musumeci, ufficializzata ieri.
Fronde e nubi che potrebbero creare qualche pensiero anche al commissario di Forza Italia Miccichè, candidato alla presidenza dell’Ars. Dopo lo scontro, con Falcone, ridimensionato, ma che poteva essere molto più amplificato, Miccichè vuole acque tranquille e agibilità per le trattative.
Lo stesso Miccichè in una nota ha risposto a D’Alì: “Il senatore Antonino D’Alì ha ragione, il territorio di Trapani meritava un posto in giunta, così come lo avrebbero meritato tutte le altre province rimaste momentaneamente prive di un rappresentante tra i banchi del governo regionale. Sto lavorando affinché in breve tempo venga riconosciuto il merito di tutti coloro che, in tutte le province, hanno contribuito in maniera determinante al grande risultato di Forza Italia in Sicilia”.
Basterà questo a ricomporre il quadro?