Adesso che il ritorno degli enti di area vasta chiuderà una pagina lunga oltre dieci anni di gestioni commissariali, adesso che la legge salperà, prima o poi, per il confronto politico a Sala d’Ercole, nello stesso posto in cui le Province cessarono di esistere, nel più inutile dei record conseguiti dal centrosinistra, adesso, insomma, è tempo di mettere in fila numeri e concetti.
Province sì, province no. Dall’ultimo rinnovo dei commissari straordinari, il dibattito all’Ars sul ritorno delle elezioni dirette per i rappresentanti delle tre Città metropolitane e dei sei Liberi consorzi siciliani sembra essersi fermato.
Una situazione “temporanea” che si trascina da dieci anni, come da consuetudine tutta italiana o, meglio, siciliana. Iniziata con l’annuncio dell’allora presidente Crocetta direttamente su Raiuno, in effetti l’Isola è stata la prima Regione ad abolire il vecchio Ente. Ma da quel momento la vera rivoluzione non è mai iniziata.
Un primo assetto delineato dalla legge 56/2014, la cosiddetta legge Delrio, e da alcune leggi di Regioni a statuto speciale aveva dato una risposta “di pancia” all’idea diffusa secondo cui le Province fossero Enti elefantiaci, che pesavano troppo sulle tasche degli italiani e per questo da superare.
La legge aveva così definito una disciplina che sarebbe dovuta essere transitoria, in attesa della completa abolizione, che sarebbe dovuta arrivare con riforma costituzionale. La Renzi-Boschi, infatti, prevedeva che le Città metropolitane restassero gli unici Enti di area vasta presenti nel Paese. Dopo il “no” al referendum, però, la riforma non è mai entrata in vigore.
Il costo della politica
Forse, ci si è resi conto troppo tardi di aver commesso un errore di valutazione. Mentre il popolo chiedeva e otteneva metaforicamente la testa dei politici, la verità era molto più impopolare: i costi della politica all’interno della spesa delle Province erano e restano inferiori a 2% del totale. A livello nazionale, nel momento in cui sono stati aboliti i vecchi Enti, si attestavano sui 76 milioni. Oggi, Città metropolitane e Liberi consorzi costano appena 9 milioni di euro. La spesa complessiva, al contrario, era e resta alta ed è quella legata alla macchina burocratica, seppure negli anni sia scesa di parecchio, tra personale più che dimezzato e fondi ridotti all’osso.
Ma, se non sono “stipendifici”, le ex Province quale utilità hanno?
Città metropolitane e Liberi consorzi gestiscono chilometri e chilometri di strade. Si tratta, però, di strade spesso lasciate a morire a causa della scarsa manutenzione dovuta ai continui tagli alle spese. Ma si occupano anche degli edifici scolastici. Anzi, solo degli istituti superiori, con scuola primaria e media inferiore sotto l’autorità dei Comuni. Il risultato è che in molti casi di chiusure disposte in caso di allerta meteo, ad esempio, si è generata più confusione che altro.
E poi ci sono i servizi di assistenza sociale e, soprattutto, quelli legati all’ambiente, con gli impianti di conferimento dei rifiuti a concentrare quasi tutta l’attenzione, visto l’andamento a due velocità che ilSicilia.it ha raccontato QUI.
Stessi servizi, meno risorse e personale
Occuparsi di questi servizi essenziali è sempre più difficile, considerando il fatto che negli anni, oltre al prelievo forzoso da parte dello Stato e alla quota 100, della quale hanno approfittato migliaia di dipendenti , i fondi a disposizione della macchina burocratica sono diminuiti inesorabilmente.
Il governo Schifani ha confermato non solo la copertura da 300 milioni nel triennio 2023/25 che la Regione devolve agli enti intermedi, ma ha assegnato ulteriori risorse – ben 165 milioni sullo stesso triennio – attraverso il Fondo sviluppo e coesione. Nella bozza della nuova Finanziaria si parla di 300 mila euro in più per ogni Ente intermedio (QUI i dettagli), per la gestione complessiva, e di altri 5 milioni solo per far fronte all’eventuale ritorno dei rappresentanti eletti direttamente dai cittadini.
“Prendendo ad esempio l’ex Provincia di Palermo – spiega Nicola Scaglione, segretario generale aggiunto della Csa-Cisal – al momento dello stop contava 2.400 dipendenti, con i dirigenti che costituivano l’1,8% del totale. Al 31 ottobre 2023, invece, si è arrivati al record negativo di 546 unità, compresi i dirigenti, il segretario generale e il direttore. È anche vero che grazie al risparmio di questi anni adesso ci sono alcune risorse che possono essere rimesse in gioco. E, infatti, si sta procedendo ad una nuova mobilità in entrata, con assunzioni di dirigenti, agenti di polizia locale, 36 operatori ‘categoria C’. L’idea è di far ripartire la macchina, anche se è più probabile che le tre Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina si muoveranno più velocemente di gran parte dei Liberi consorzi”.
Le realtà più piccole, in effetti, sono quelle che hanno sofferto maggiormente, con Siracusa, per fare un altro esempio, che in passato è arrivata ad un ritardo di 10 mesi nel pagamento degli stipendi. “È chiaro che un dipendente che non viene retribuito per quasi un anno non avrà la stessa produttività di uno pagato regolarmente”.
Se si vuol fare un resoconto dettagliato di come vengono spese le risorse a disposizione degli Enti intermedi, però, ci si ritrova a brancolare nel buio. Come in quei condomini in cui tutti litigano e l’amministratore-commissario non riesce a venire a capo delle spese, le ex Province non hanno banche dati disponibili. Per una volta, la Sicilia non è ultima in classifica, ma arranca insieme alle altre Regioni d’Italia.
Ritorno al futuro?
Il futuro delle Province è ancora da scrivere, ma da marzo 2023 la Regione siciliana è al lavoro insieme alle parti sociali per provare a completare la riforma. L’orientamento è quello di un ritorno all’elezione diretta dei rappresentanti. “La politica dei commissariamenti è durata fin troppo e gli Enti si sono lentamente allontanati dal territorio, mettendo spesso da parte anche i servizi che dovrebbero garantire. L’obiettivo – sottolinea Scaglione – è di fare investimenti sul personale. Un ruolo fondamentale lo giocherà l’appetibilità del posto fisso che si è andata perdendo, altra conseguenza dell’impoverimento delle risorse umane. Meno dipendenti, più carichi di lavoro. Qui bisognerà giocare la carta dei contratti nazionali, che vanno rivisti, per portare nuova linfa alle Province e farle riavvicinare ai cittadini”.