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L’elezione diretta di sindaci e presidenti e la finta governabilità di un sistema nel pantano

giovedì 21 Giugno 2018

Chi è dotato di buona memoria e di ricordi anche lontani della politica ricorderà certamente i giorni (e le albe) in cui, intere amministrazioni locali, ma anche ex Province e qualche volte anche governi regionali, subivano vere e proprie imboscate, capitolando sull’altare delle crisi d’Aula e parlamentari.

Dal 1993 e dal 2001, rispettivamente Comuni, ex Province e Regione (Palazzo d’Orleans)  trovano i loro vertici di governo al termine del processo di scelta degli elettori che arriva con il voto tra i candidati che concorrono con l’elezione diretta.

Ma serve veramente questo meccanismo? C’è una corrispondenza e quindi una maggiore produttività tra gli esiti amministrativi e di governo dei sindaci che durano in carica cinque o dieci anni e le giunte anche balneari degli anni ’70 e ’80, che spesso affrontavano, senza superarle, crisi improvvise e spesso pretestuose?

La lunga premessa si è resa necessaria per rapportare la situazione attuale che all’Ars si è respirata in questi giorni dopo la bocciatura e il ritorno in commissione Bilancio del ‘collegato’ alla legge di stabilità regionale. Questa sarebbe stata, in tempi di giunte di coalizione, una di quelle situazioni in cui lo stallo si sarebbe potuto superare con il cambio, in corsa, del capo dell’esecutivo. In questo caso, il problema non è certo Nello Musumeci, quanto la mancanza di una sintesi tra le varie anime della coalizione che sostiene il suo esecutivo.

Il timore che si affermi una politica meno in discontinuità dai metodi del passato rispetto a quelli auspicati da Palazzo d’Orleans trapelava del resto anche dalle parole dello stesso Musumeci nel video pubblicato martedì in serata in cui ha fatto riferimento ai “segnali che arrivano da chi dovrebbe fare quadrato in una coalizione di governo”.

Al centro del confronto acceso con Forza Italia non c’è solo, ma anche, la mancata chiusura dell’ “ultimo vergognoso carrozzone della prima Repubblica” come ha definito Musumeci l’Ente di sviluppo agricolo, ma più in generale, l’atteggiamento di Forza Italia, che tenderebbe a frenare sulle riforme e sul “governo del cambiamento” che Musumeci vorrebbe portare avanti. Un problema di comunicazione, di obiettivi, di metodi, ma anche di soluzioni, che forse andrebbero trovate a metà strada, come qualcuno ha provato a sussurrare anche ieri. A questo punto, rispetto ai metodi e ai sistemi con cui un esecutivo deve rimanere in piedi, molti potrebbero obiettare che l’attuale legge elettorale non garantisce, ed è vero, un margine rassicurante alla coalizione che vince le elezioni.

E si ritorna all’assunto originario. Valgono le regole del passato? Quelle di oggi? O manca il buon senso prevalente della politica a cui non bastano mai regole certe?

Dalla prossima settimana si ripartirà con piccoli passi e ricuciture. Il centrodestra siciliano rischia di non allargare, a implosione evitata con prospettive ottimistiche, il perimetro che potrebbe portare ad aggirare l’ostacolo. Questo con buona pace delle regole di ieri, di quelle di oggi e dei flop di domani, sempre in potenziale agguato.

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