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L’eros nella storia: comportamenti e pratiche sessuali nella Sicilia ottocentesca

sabato 5 Gennaio 2019

Quando si parla dell’Ottocento e dei suoi costumi si pensa, molto spesso, a sobrietà e austerità, si crede, erroneamente, che ci si comportasse, quasi sempre, osservando la morale imposta dalla società del tempo.

Naturalmente, si tende a pensarla così, anche e soprattutto quando vengono presi in considerazione i comportamenti sessuali, specialmente se li proiettiamo in un terra come la Sicilia, ritenuta, da molti, attenta osservatrice delle norme morali e scrupolosa nel difendere e mantenere incorrotto l’onore delle donne.

Innanzitutto, era costume diffuso intrattenersi con le prostitute che iniziavano a popolare le strade cittadine tre ore dopo il tramonto. Chi tra gli aristocratici palermitani intendeva divertirsi e intraprendere relazioni leggere e senza impegno, poteva dirigersi alla Marina per la passeggiata serale: qui nobildonne e gentiluomini fornivano argomenti per far parlare di sé e delle proprie condotte scandalose, infatti durante queste passeggiate nell’oscurità delle carrozze non era raro che, come scrive una badessa, “molte giovinette apprendono i primi piaceri del mondo”.

I rapporti coniugali invece avvenivano, almeno in linea di massima, osservando il modello morale dell’epoca che prevedeva unioni carnali tra i coniugi solo ed esclusivamente per scopi riproduttivi, infatti alcuni signori dichiaravano che pur avendo avuto diversi figli con la propria moglie non ne avevano mai visto l’ombelico: le signore, infatti, avrebbero dovuto indossare una camicia da notte dotata di una fessura collocata all’altezza utile per potersi unire con il marito, in sostanza l’atto sessuale doveva essere finalizzato per la procreazione, null’altro, qui il piacere non era contemplato.

Tantissimi erano i neonati generati da relazioni illegittime, pensiamo agli incesti, pratica molto diffusa in tutta l’Isola, quindi i rapporti con sorelle, cugine o zie, non erano rari, anzi, spesso erano ritenuti normali. Per esempio, a Palermo negli anni 50 dell’Ottocento, fu celebrato un processo per incesto in quanto una ragazza della provincia di Caltanissetta aveva intrattenuto dei rapporti sessuali con i suoi fratelli. La giovane era convinta che non vi fosse nulla di male in ciò che avevano commesso lei e i suoi fratelli poiché, insisteva la ragazza, quest’ultimi erano celibi ed essendo giovani avevano le loro esigenze fisiche.

Non ci dobbiamo dimenticare che siamo in un’epoca in cui non era molto presente la cultura della contraccezione, per cui malattie e gravidanze indesiderate erano all’ordine del giorno. I figli naturali e illegittimi nati al di fuori del matrimonio, davvero numerosissimi nella Sicilia ottocentesca, potevano andare incontro ad un destino terribile se fossero stati abbandonati in aperta campagna, oppure nel migliore dei casi potevano essere abbandonati nei conventi e nelle istituzioni pie, ma comunque nei loro confronti rimaneva un forte atteggiamento di ostilità, in quanto considerati frutto del peccato e della lussuria, quindi macchiati da questa colpa.

A volte, le mamme dei figli illegittimi si accordavano con le nutrici d’adozione che accudivano i bimbi e in cambio di denaro s’impegnavano a tenere segreta la paternità. Si poteva anche ricorrere all’aborto ma oltre ad essere una pratica estremamente rischiosa, poiché metteva in serio pericolo la vita della donna, era anche molto costosa, perciò non tutte vi potevano ricorrere. A volte si poteva risolvere il problema attraverso matrimoni riparatori o di convenienza. Comunque, in caso di una gravidanza che avveniva al di fuori dell’ambito coniugale, la macchia del “disonore” rimaneva soltanto alle donne.

Inoltre, ebbero grande successo, fra nobildonne e gentiluomini, certi opuscoli libertini in cui erano raffigurate immagini molto esplicite, così come ebbe fortuna l’autobiografia di Giacomo Casanova, protagonista di molteplici avventure licenziose e bollenti.

Purtroppo la povertà alimentava fenomeni deplorevoli e disgustosi come la violenza sui bambini, presente in tutta la Sicilia. Parecchi di quei fanciulli, che a sei- sette anni andavano a lavorare nelle miniere di zolfo, venivano abusati. Molte volte veniva messo tutto a tacere e le famiglie dei bimbi violentati preferivano accettare un indennizzo in denaro da parte del violentatore che così sanava il processo penale. Nelle città, i nobili o i borghesi benestanti potevano ottenere prestazioni sessuali dalle popolane in cambio di doni o di un lavoro nelle loro case, nelle campagne, alle fanciulle si poteva richiedere lo stesso in cambio di un lavoro nei campi. Anche i preti davano sfogo alle proprie pulsioni erotiche, magari approfittando delle giovani parrocchiane. Ma anche le monache non si facevano mancare nulla, intrattenendo rapporti sessuali non soltanto con uomini, laici o chierici che fossero, ma anche con altre monache, novizie o educande.

E così, i comportamenti sessuali di uomini e donne, ricchi e poveri, cittadini e campagnoli, giovani e meno giovani, laici e chierici, nella Sicilia ottocentesca, erano vari e molte volte lontani dalle norme morali, sociali e giuridiche; in alcuni casi, purtroppo, lontani anche dal buon senso e dalla sensibilità umana. Si scoperchia un mondo davvero composito, che a volte ci fa sorridere, altre volte ci fa riflettere e altre ancora ci sbalordisce, ma ci fa pure capire che le pulsioni umane, nel bene e nel male, anche nella storia sono state difficili da dominare e controllare.

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