In un mondo in cui tecnologia, intelligenza artificiale e innovazione avanzano a ritmi vertiginosi, la domanda fondamentale è come l’uomo possa conservare saggezza, misura e responsabilità. Aristotele ci offre strumenti per affrontare dilemmi morali e scelte complesse: la “phronesis, la saggezza pratica”, è ciò che permette di agire virtuosamente nella vita reale.
“La virtù consiste nel giusto mezzo, bilanciando estremi e orientando la vita verso il bene comune” (Etica Nicomachea, II, 6) recitava il filosofo greco. nato a Stagira, nella penisola Calcidica, nel 384 a.C. e allievo dell’Accademia di Platone.
Nel primo articolo della trilogia, abbiamo descritto i parallelismi e l’attualità delle sue opere con il declino “moderno” della classe media alla crisi delle democrazie rappresentative, dalla fragilità delle istituzioni europee al difficile equilibrio tra economia e giustizia sociale.
Il secondo articolo esplora come tali principi possano guidare la società contemporanea nella gestione della tecnologia, nell’uso dell’IA, nella politica, nell’economia e nell’educazione, mostrando esempi concreti e collegamenti tra passato e presente.
L’obiettivo è rendere accessibile un pensiero antico e mostrare che le sue applicazioni non sono astratte, ma concrete, quotidiane e urgenti. Attraverso esempi reali, casi moderni e riferimenti storici, le opere aristoteliche mostrano come la virtù possa essere la bussola per vivere in un mondo interconnesso, in cui il progresso tecnico non deve sostituire l’agire etico, ma esserne uno strumento consapevole.
La perdita del limite nella società digitale
“Non è compito della natura produrre l’uomo virtuoso, ma dell’abitudine; poiché la virtù morale si acquisisce praticando le azioni giuste.” — Etica Nicomachea, II, 1
La civiltà contemporanea vive in un paradosso: non ha mai avuto così tanto potere, eppure non ha mai saputo così poco come usarlo.
L’umanità ha infranto quasi ogni limite – biologico, spaziale, comunicativo – e ora, nel pieno dell’era digitale, sembra aver smarrito il senso stesso della misura. Aristotele chiamava “mesotes” la virtù che risiede nel mezzo, l’arte dell’equilibrio tra l’eccesso e il difetto. Nella società del “tutto subito”, questo principio è diventato quasi irrilevante.
Sui social network, la “hybris”– la superbia” che gli antichi greci temevano come la radice di ogni rovina – è la norma. L’eccesso di opinione sostituisce il giudizio, la visibilità prende il posto della verità, e l’io ipertrofico dell’influencer diventa il nuovo archetipo dell’uomo pubblico.
“Essere visti” conta più che “essere giusti”.
Aristotele avrebbe forse sorriso, ma amaramente: perché la comunità politica (polis) si reggeva, per lui, sul dialogo ragionevole tra cittadini, non sul grido. E quando la polis smette di parlare, resta solo il rumore.
Nel mondo digitale, l’informazione è divenuta un’onda che non conosce sosta. Scorriamo notizie, immagini, video, emozioni, come un fiume in piena che non permette la riflessione o l’approfondimento del tessuto sociale, economico e culturale. L’intelletto, direbbe Aristotele, è ridotto a passività pura, incapace di trasformare l’esperienza in conoscenza. Non è un caso che tutte le generazioni parlino di “scroll infinito”: è il simbolo perfetto di una civiltà senza limite, dove il pensiero si dissolve nella velocità.
Questa perdita del limite non riguarda solo la sfera individuale, ma anche quella politica. Le democrazie occidentali, intrappolate tra il consenso immediato e la paura di perdere la visibilità, ragionano sempre più come piattaforme digitali: reagiscono, calcolano, ottimizzano. Ogni decisione viene tradotta in un algoritmo di gradimento, ogni discorso in un indice di popolarità.
La saggezza del giudizio, è sostituita dal “sentiment analysis”. E così, il cittadino non è più soggetto, ma utente.
Nella Politica, Aristotele scriveva che “l’uomo, separato dalla legge e dalla giustizia, è la più selvaggia delle bestie”. Oggi potremmo dire: separato dal limite e dalla responsabilità, l’uomo digitale è la più automatizzata delle macchine. La legge morale, un tempo interiore, è sostituita dal calcolo esterno: ciò che “funziona” è considerato “buono”, ciò che “è popolare” diventa “vero”. Il confine tra etica e algoritmo si sfuma.
Ma il limite, nella filosofia aristotelica, non è un ostacolo. È la condizione stessa della libertà. Solo chi riconosce i propri confini può agire con giustizia. Solo chi accetta la finitezza può creare.
L’uomo che ignora il limite – ammoniva Aristotele – diventa schiavo dei propri desideri. Oggi, la tecnologia ha amplificato quel desiderio fino a farlo coincidere con il sistema stesso: il desiderio di potere è diventato codice, il desiderio di controllo si è tradotto in dati, il desiderio di superare l’umano si è fatto intelligenza artificiale.
Ogni piattaforma misura il successo con numeri crescenti: visualizzazioni, click, interazioni. La quantità ha divorato la qualità, e il “bene comune” è sostituito dal “bene condiviso”.
Questo squilibrio ha un effetto psicologico devastante: l’ansia dell’insufficienza. L’utente non è mai abbastanza performante, l’immagine non è mai abbastanza perfetta, la connessione non è mai abbastanza veloce. In un mondo dove tutto è eccesso, l’uomo moderno vive la paradossale mancanza del limite come una mancanza di sé.
E allora il richiamo di Aristotele torna più attuale che mai: la virtù non è l’assenza di desiderio, ma la capacità di orientarlo. La “mesotes” non chiede di frenare il progresso, ma di misurarlo sull’uomo. “La misura è ciò che salva”, avrebbe detto. Non come rinuncia, ma come forma suprema di intelligenza.
L’uomo tecnico e l’illusione della perfezione
“Chi agisce senza misura eccede, chi agisce troppo poco manca.” — Etica Nicomachea, II, 6
L’uomo moderno è ossessionato dall’illusione della perfezione: velocità massima, rendimento totale, conoscenza istantanea. L’IA promette di realizzare questo ideale, ma dimentica che la saggezza pratica non è replicabile da algoritmi. Aristotele affermava che la virtù è scelta del giusto mezzo (Etica Nicomachea, II, 6).
Da secoli l’uomo sogna di superare i propri limiti. Dal mito di Icaro, che osò volare troppo vicino al sole, alla frontiera transumanista del XXI secolo, la tentazione di eccedere è sempre stata parte della natura umana. Aristotele ci ammonisce: l’eccesso conduce alla rovina, la moderazione alla virtù. Oggi, quell’eccesso si manifesta nella ricerca ossessiva della perfezione tecnica, nella volontà di trasformare l’uomo in qualcosa di più veloce, più intelligente, più immortale.
Gli sviluppi della bioingegneria e dell’intelligenza artificiale generativa hanno reso concreto il sogno di “controllare la natura”, di ridefinire i confini del corpo e della mente.
Elon Musk con Neuralink promette di fondere cervello umano e computer; aziende tecnologiche parlano di migliorare l’uomo grazie a sensori, impianti e algoritmi predittivi. La promessa è allettante: eliminare i limiti, prevenire malattie, potenziare la memoria e le capacità cognitive. Ma in questo desiderio si nasconde un rischio antico quanto la civiltà: dimenticare la misura.
Aristotele distingue tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale, tra ciò che è misura e ciò che è eccesso. L’uomo tecnico contemporaneo rischia di confondere potenza con saggezza. Possiamo creare strumenti incredibili, ma non sempre sappiamo quale fine debbano perseguire. L’illusione della perfezione diventa così un filtro distorto: la tecnologia non è più mezzo, ma fine. L’obiettivo non è il bene dell’uomo, ma la sua trasformazione infinita.
Eppure, non tutto è negativo. Alcune innovazioni rispondono a bisogni reali: salvare vite, curare malattie, mitigare crisi ambientali. Qui emerge l’importanza della phronesis, la saggezza pratica di Aristotele: la capacità di discernere ciò che è giusto fare, bilanciando possibilità e responsabilità. Il limite non è rinuncia, ma orientamento. È la bussola etica che trasforma il potere tecnico in bene comune.
Il mito di Icaro diventa la metafora perfetta. Il giovane che osa volare troppo in alto ignora la misura: il sole, la cera delle ali, la gravità. L’uomo tecnico contemporaneo spesso segue la stessa tentazione: accelerare senza valutare conseguenze sociali, morali, psicologiche. L’illusione della perfezione può generare non progresso ma fragilità, non libertà ma dipendenza dalle macchine.
Allo stesso tempo, la tecnologia può essere liberatoria se guidata dalla misura. L’IA applicata alla sanità, all’educazione, alla gestione delle risorse può amplificare le capacità umane senza sostituirle.
L’uomo tecnico, se educato alla virtù aristotelica, può diventare custode del proprio limite: scegliere consapevolmente quando usare e quando fermarsi. La perfezione, in questo senso, non è assoluta, ma relativa: non quella di un ideale astratto, ma quella di un equilibrio concreto, umano e praticabile.
Il transumanesimo, la robotica avanzata, le neurotecnologie non vanno demonizzate senza appello, ma serve un dibattito maturo e ampio sul corretto utilizzo; devono essere integrate nella vita con giudizio, come strumenti al servizio della polis, della comunità, della vita concreta delle persone. Aristotele ci ricorda che la virtù non è assenza di desiderio, ma capacità di dirigerlo verso il bene. Il desiderio di superare i limiti diventa virtuoso solo se riconosciamo il limite stesso: il confine etico entro cui l’azione tecnica diventa umana.
Aristotele ci offre così una lezione chiara: il progresso tecnico è inutile, perfino pericoloso, se non è accompagnato dalla virtù. Non è la potenza a rendere l’uomo grande, ma la capacità di discernere, scegliere, misurare.
L’uomo tecnico del XXI secolo può incarnare il mito moderno di un Icaro consapevole, capace di volare senza cadere, proprio perché sa dove si trova il limite. Nei settori scientifici, medici, economici e sociali deve riconoscere i propri limiti e usare la tecnologia come strumento, non come giudice.
L’IA tra decisione morale e responsabilità
“Il fine dell’uomo è vivere bene, e la vita buona si realizza nella virtù.” — Etica Nicomachea, I, 7
In sanità, finanza, lavoro e politica, esempi concreti dimostrano che la tecnologia amplifica possibilità e rischi. L’uomo tecnico, senza virtù, rischia di creare dismisura e danno sociale.
Progetti di IA etica, regolamenti europei e iniziative educative dimostrano che la misura aristotelica può guidare il progresso tecnologico, trasformandolo in strumento di bene comune.
Il ritorno dell’etica aristotelica nel dibattito contemporaneo
“La virtù è disposizione a scegliere il giusto mezzo, ciò che è determinato dalla ragione e come lo determinerebbe l’uomo saggio.”—Etica Nicomachea, II, 6
In un mondo sempre più digitale e interconnesso, l’eredità di Aristotele appare sorprendentemente attuale. La tecnologia permea ogni aspetto della vita, dall’economia alla politica, dall’istruzione alla sanità, ma spesso lo fa senza un riferimento chiaro al bene comune. Il ritorno dell’etica aristotelica nel dibattito contemporaneo non è un esercizio accademico: è una necessità pratica, un modo per orientare le scelte individuali e collettive in un contesto complesso e in rapido cambiamento.

Prendiamo il campo della sanità digitale. Le applicazioni di intelligenza artificiale consentono diagnosi più rapide, terapie personalizzate e prevenzione predittiva. Tuttavia, senza principi etici, l’efficienza tecnica può collidere con la dignità del paziente o la tutela della privacy. Qui Aristotele ci guida: la virtù sta nel giusto mezzo, nell’equilibrio tra possibilità tecniche e rispetto della persona. L’innovazione senza misura rischia di produrre effetti opposti al bene che intende perseguire.
Lo stesso discorso vale nel mondo dell’economia. Le piattaforme finanziarie digitali, gli algoritmi di investimento e i sistemi di gestione automatizzata dei mercati aumentano la velocità e la precisione delle decisioni, ma amplificano anche il rischio di esclusione e disuguaglianza. Un trader o un manager che segue solo l’efficienza e il profitto rischia di agire come un uomo privo di misura, un Icaro dei mercati finanziari. Aristotele ci insegna che la virtù economica non è nell’accumulare ricchezza senza criterio, ma nell’uso responsabile delle risorse, nel perseguimento di un equilibrio tra interessi personali e bene comune.
Nel contesto sociale e politico, ne abbiamo già accennato nel primo articolo, l’etica aristotelica diventa ancora più cruciale. La polarizzazione online, la manipolazione dei dati e il microtargeting elettorale pongono interrogativi morali urgenti.
La tecnologia consente di influenzare le opinioni e modellare comportamenti, ma non determina se le azioni siano giuste o ingiuste. La phronesis – la saggezza pratica – resta imprescindibile. I cittadini e i leader devono saper discernere, scegliere e misurare, bilanciando libertà, verità e responsabilità.
L’educazione emerge come campo privilegiato per il ritorno della virtù. Insegnare l’etica della misura significa preparare individui capaci di usare strumenti digitali in modo consapevole, valutando conseguenze e finalità. Significa trasmettere la capacità di ponderare l’azione, riconoscere limiti e responsabilità, coltivare empatia e giustizia. Aristotele non parlava di algoritmi o IA, ma il principio rimane: la virtù si esercita nell’azione concreta, nella vita reale, nella comunità.
Alcuni esempi contemporanei mostrano che è possibile applicare la misura aristotelica. Organizzazioni che sviluppano intelligenza artificiale etica, norme europee che richiedono trasparenza e accountability nei sistemi automatizzati, iniziative educative per alfabetizzazione digitale e civica: tutto questo rappresenta il ritorno della virtù come guida pratica. Non si tratta di limitare la tecnologia, ma di orientarla verso finalità umane, sociali e morali.
Anche nel dibattito pubblico le decisioni dei leader, le politiche sanitarie, le strategie aziendali non possono basarsi solo sull’efficienza o sul consenso immediato. La misura, la prudenza e il discernimento diventano criteri per valutare scelte complesse, confrontarsi con dilemmi etici e bilanciare interessi contrastanti. Senza di essi, il rischio è un mondo governato dalla forza tecnica, non dalla saggezza pratica.
Inoltre, la dimensione internazionale non può essere ignorata. Le tecnologie digitali e l’IA agiscono su scala globale, influenzando geopolitica, economia e sicurezza. Aristotele ci ricorda che l’azione virtuosa richiede considerazione del contesto: ciò che è giusto in un luogo o per un individuo può non esserlo altrove. Il ritorno dell’etica aristotelica implica una responsabilità estesa, un pensiero che integra locale e globale, individuale e collettivo.
Infine, il ritorno della virtù non significa nostalgia o rigetto del progresso. Significa riconoscere che l’uomo tecnico, l’intelligenza artificiale, la società digitale non sono fini in sé. Sono strumenti che richiedono guida morale. La misura, la phronesis, la virtù del giusto mezzo sono principi indispensabili per orientare scelte complesse e costruire una società in cui la tecnologia serva all’uomo, e non viceversa. Aristotele torna così al centro del dibattito contemporaneo, ricordandoci che la virtù è sempre concreta, pratica e indispensabile per vivere bene nella polis del XXI secolo.
Il valore della misura come fondamento di una nuova umanità
In un’epoca in cui l’uomo tecnico corre verso l’illusione della perfezione e l’intelligenza artificiale permea ogni aspetto della vita, Aristotele ritorna come bussola indispensabile. La saggezza pratica, la phronesis, la virtù del giusto mezzo non sono concetti antiquati, ma strumenti concreti per orientare scelte morali, tecnologiche e sociali. La misura non è rinuncia: è discernimento, equilibrio, responsabilità. È ciò che permette all’uomo di utilizzare la tecnologia senza esserne dominato, di innovare senza perdere di vista il bene comune.
Abbiamo provato a metter in luce come l’eredità aristotelica possa guidare le decisioni contemporanee in ambito tecnico, economico e sociale. La virtù non è più solo un ideale filosofico, ma un criterio pratico per governare la complessità di un mondo interconnesso, in cui ogni azione ha conseguenze immediate e globali.

Ma la riflessione non si ferma qui.
La misura, applicata alla tecnologia e all’etica, è strettamente legata a un altro tema che attraversa la vita quotidiana e l’evoluzione della società: il limite umano e la capacità di integrare il progresso tecnico con il bene collettivo. È su questo terreno che si svilupperà il prossimo articolo , dove approfondiremo come l’etica aristotelica possa diventare guida concreta per la formazione, l’educazione e la costruzione di una società in cui il digitale amplifica la vita umana senza sostituirla o comprometterla.
In conclusione, la lezione di Aristotele è chiara e urgente: la tecnologia e il progresso devono essere al servizio dell’uomo, non l’uomo al servizio della tecnica. La virtù del giusto mezzo, la saggezza pratica e la misura sono principi fondamentali per costruire una nuova umanità, capace di affrontare sfide complesse senza perdere di vista ciò che è realmente importante: il bene comune, la responsabilità, la dignità e la libertà dell’individuo.
Seguendo queste indicazioni, l’uomo moderno può trasformare ogni potenzialità tecnica in strumento di emancipazione, senza cadere nell’eccesso o nella dismisura.




