Libertà, che bella parola!
Mi sono riempito la bocca da sempre di questa parola, fin da quando adolescente approfondivo la conoscenza delle vite di personaggi importanti della storia o di grandi pensatori.
Liberi, però chi per un motivo e per un altro avevano finito per fare una brutta fine per la difesa di questa loro libertà o addirittura chi nelle proprie battaglie di principio avesse vinto raggiungendo il proprio scopo, alla fine sarebbe rimasto vittima del sistema perdendo qualunque ideale, o diventando a sua volta il persecutore delle libertà altrui.
Anche io oggi schiavo delle convenzioni del vivere in comune, dell’educazione, dei fogli di transito, delle carte d’imbarco, dei green pass per gli accessi, il tutto stando attento a non violare le norme per la privacy, sono libero, di certo rendendomi orgoglioso quando lo scrivo, eppure la notte non dormo più schiavo dei pensieri causati dalla mia libertà.
A proposito di quanto sopra mi viene da fare due ironiche considerazioni su quanto detto, la prima sulla privacy e la seconda sulle soddisfazioni che certe libertà danno.
La privacy, che bella divertente invenzione dei tempi nostri.
In un epoca in cui tutto quanto doveva essere inventato è stato inventato, la privacy diventa l’ultima di quelle invenzioni per specialisti “sucainchiostro”, quelli che per “lavoro” fanno soltanto il controllare e creare moduli da compilare (non per loro) per coloro, “i responsabili” che lavorando si assumono responsabilità e pensieri, coloro che un giorno timidamente risposero “io”, prima che un enorme riflettore di non so quanti watt si accendesse su di loro, buttando nell’ombra tutti gli altri al contorno.
La privacy è un bizzarro adempimento che ti porta a proteggere e non far conoscere i fatti personali alla gente che frequenti, oscurando alcuni dettagli affinché non ti si possa identificare, un po’ come mettere una mascherina di carnevale per non farli distinguere, a due uomini completamente nudi messi accanto, uno dei quali è Rocco Siffredi.
Si, sono adempimenti rigorosi in modulistiche che vengono consegnate al rigoroso funzionario che ne custodisce la rigorosa privacy e che poi finisce per farne un tazebao o per percorrere corridoi chiedendo, in quale scaffale si custodiscono i moduli per la pensione dei colleghi del primo piano che hanno la moglie, collega, che gli ha fatto le corna con il capo?
“Rigorosamente scaffale n. 11, prego”.
La privacy, la libertà e chi sa quanti altri convincimenti come questi ci cambiano la vita e non ci fanno dormire poi la notte, ma ci rendono fieri e a proposito di ciò, volevo fare la seconda considerazione anticipatavi.
Io avevo un amico del cuore che da adolescente adoravo poiché mi dava l’impressione di essere veramente libero, ma non mi spiegavo il perché spesso si presentasse con dei lividi. Questo ragazzo era libero anche nel suo parlare e ci raccontava spesso di come mandasse a fanculo addirittura suo padre, cosa sacrilega per tutti noi, ma non conosceva l’autorità e ciò faceva crescere in me l’idea che si potesse essere liberi senza conseguenze, finché un giorno a quattro occhi volli approfondire con lui il concetto chiedendogli: “quali soddisfazioni trovi a litigare con tuo padre e soprattutto dopo che lo mandi a fanculo, cosa succede?”
La sua risposta ridimensionò i miei sogni così quasi quanto il finale di “Hair” … “si, io lo mando a fanculo e poi lui mi fotte a bastonate, vuoi mettere la soddisfazione?” Ecco spiegati i lividi.
No amici, non erano quelle le libertà che andavo cercando, non sono neanche queste di oggi le libertà che avevo desiderato, stare sopra il vertice di una piramide non ti rende libero, anzi, ogni grado di libertà, ogni movimento aggiuntivo lo paghiamo con il pensiero che ci viene dal dover essere responsabili delle “libertà” altrui, del dover sapere non solo cosa dobbiamo fare, ma cosa dovranno fare gli altri o potranno fare gli altri, ogni qualvolta ad una azione corrisponde una reazione e allora ….. e se la libertà fosse soltanto “stare sopra un albero?” Altro che “partecipazione!” Un abbraccio, Epruno.