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Libri: Leonardo Sciascia, “Gli zii di Sicilia” | RECENSIONE

domenica 17 Novembre 2019

Leonardo Sciascia nel 1958, incoraggiato dal grande Elio Vittorini che negli anni ’50 lavorava per Giulio Einaudi, all’età di trentasette anni pubblica all’interno della Collana «Gettoni», la sua prima raccolta di Racconti Brevi, dal titolo Gli zii di Sicilia”.

La Collana «Gettoni» ideata da Elio Vittorini, scrittore e traduttore siciliano di successo e notorietà, trapiantato da Siracusa a Torino, allora assai conosciuto e ritenuto a ragione un importante intellettuale siciliano, come Leonardo Sciascia, nacque a Siracusa il 23 luglio 1908 e morì a Milano 12 febbraio 1966 alla giovane età di 58 anni.

Vittorini utilizzò brillantemente, per tutto il periodo degli anni ’50, dal 1951 al 1958, la Collana «Gettoni» per pubblicare opere contemporanee che si caratterizzavano per: 1) un’impronta patriottica e nazionale quale segno di uno stacco netto dalla Grande Guerra che aveva ridotto l’Italia ad un Paese completamente povero e da ricostruire dalle radici, con un popolo che doveva essere ri-vitalizzato, al quale doveva essere trasmessa speranza e volontà di creare un’Italia bellissima; 2) la scelta di dare spazio a giovani scrittori italiani e stranieri in grado di scrivere Romanzi, Racconti, Novelle, che dovevano avere un’impronta fiorente e colma di speranza, di grandi aspettative per uno splendido futuro da ricostruire, e in grado di raccontare, in modo diretto e sincero, storie di vita vera di quegli anni che dovevano dare una visione della Patria Italia reale che giorno dopo giorno stava germogliando dalle ceneri post-belliche.

Gli scrittori della Collana «Gettoni» furono in tutto quarantanove, di cui otto stranieri, per un totale di cinquantotto titoli pubblicati, che ebbero un grande successo nell’Italia di allora, nell’Italia post-Ultima-Grande-Guerra assetata di tutto, ma soprattutto di sapere e di cultura, di leggere storie nuove e stimolanti intellettualmente e moralmente.

“Gli zii di Sicilia” del 1958, composto da tre racconti, di fatto è la prima apparizione di Leonardo Sciascia quale scrittore. La sua raccolta di Racconti viene ri-pubblicata nel 1961, questa volta edita da Giulio Einaudi Edizioni, con l’aggiunta di un quarto interessantissimo scritto, “L’antimonio”, che di fatto rappresenta un Romanzo interrotto che si “trasforma”, ne “Gli zii di Sicilia”, in un Racconto breve.

“Gli zii di Sicilia” è un libro bellissimo che di Sciascia fa già capire – nel 1958 – le straordinarie capacità narrative, neo-realiste, coinvolgenti, emozionanti, trascinatrici, colmi di dettagli e di particolari che empatizzano il lettore appassionato di conoscenza e di sapere trascinandolo nelle sue straordinarie trame narrative di una Sicilia – e dei siciliani – che rappresentano da un lato la realtà e dall’altro una formidabile metafora delle vicende umane di ogni tempo. E già nel 1961 Sciascia, al suo esordio letterario con la più grande e importante casa editrice italiana qual è Einaudi, è un narratore molto al di sopra, e molto più audace, capace e di talento, dei migliori narratori di allora.

Nel 1992 “Gli zii di Sicilia” venne ri-pubblicato da Adelphi Editore, che nel 2013 lo rilanciò in formato E-Book.

I Racconti sono storie vere e realmente vissute da Sciascia-bambino e da Sciascia-adolescente, che le dona al suo lettore ignaro della sua grandezza letteraria e inconsapevole di essere un intellettuale che avrebbe lasciato un solco profondo e affascinante nella cultura e nella letteratura italiana del Ventesimo Secolo.

Il primo Sciascia narratore e scrittore si caratterizza per una ricerca attenta ed intelligente tra storie che sono della Sicilia, ma che sono anche della Spagna – la guerra civile franchista narrata ne “L’antimonio” – di storie che si aprono al mondo che sta arrivando per salvarci; gli Americani sbarcati in Sicilia per liberare l’Italia dal nazismo e dal fascismo; la “Morte di Stalin” che segna con un marchio di fuoco il legame tra certi intellettuali italiani di allora e la Russia molto mal vista dagli Americani soprattutto a quel tempo, seppur alleati per sconfiggere Hitler!

In questa sua Opera Sciascia, seppur giovane e ancora inesperto rispetto a quelle esperienze di vita amare e dolorose che avrebbe vissuto ed affrontato con dignità e grande forza, e che lo avrebbero reso uno dei più grandi scrittori di sempre della letteratura italiana, riconosce la potenza della scrittura e il valore che un buon libro può avere: «anche il libro è una cosa, lo si può mettere su un tavolo e guardarlo soltanto, magari per tener su un tavolino zoppo lo si può usare o per sbatterlo in testa a qualcuno: ma se lo apri e leggi diventa un mondo; e perché ogni cosa non si dovrebbe aprire e leggere ed essere un mondo?».

“Gli zii di Sicilia” si compone di tre Racconti nella versione del 1958, per poi passare a quattro Racconti nella versione del 1961 pubblicata da Giulio Einaudi, e si distingue per la lucidità nel cogliere i paradossi, gli inganni… nel raccontare storie di tradimenti e di vigliaccherie, di volta-gabbana e di volta-faccia, di gente umile ed onesta e di millantatori egocentrici affamati di potere e di danaro che saltano senza pudore sul carro instabile del vincitore… delle inesorabili beffe della Storia caratterizzata da Guerre militari e civili, da Rivoluzioni e da Colpi di Stato apparentemente neo-rinascimentali ma che di rinascimentale non ebbero nulla, se non una pianificata e diabolica restaurazione del potere che tornò dove doveva stare, dove era stato, e dove sta tutt’ora da secoli e secoli, che noi che leggiamo queste righe conosciamo bene.

Da questa prospettiva, inquietante ed opportunistica al contempo, oggi questi quattro racconti di Sciascia sono contemporanei ed attuali più che mai, in un momento storico, sociale e politico italico nel quale più che i sani principi etici e morali di estrazione culturale giudaico-cristiana, hanno il sopravvento inesorabile il cinismo, l’opportunismo, l’egocentrismo devoto e cameriere rivolto al potere – e a chi lo rappresenta – che inesorabile s’appresta a prendere il posto dei potenti sconfitti predecessori.

SINOSSI:

La zia d’America racconta di una donna migrata fisicamente negli Stati Uniti, come migliaia di siciliani del dopo-guerra, ma che rimane visceralmente e impotentemente legata al suo paese, ai suoi parenti, alla sorella povera. La sua generosità, che alimenta il suo ego-centrismo di donna che ha saputo distinguersi dagli altri abitanti del suo piccolo villaggio delle colline siciliane illuminate da un sole che dipinge un paesaggio maestoso e brillante, sono rappresentati dalle regalie che distribuisce a dritta e a manca ma che nascondono una condizione che solo alla fine, prima di partire, viene impietosamente svelata ed alla quale “non si può dire di no!”: «Dovete votare De Gasperi e non i Comunisti, perché così vogliono gli Americani, altrimenti non potrò più mandarvi nessun regalo!». Il momento culmine della storia è l’arrivo in paese della zia, accompagnata da marito e figli, con bauli e masserizie al seguito, che assume tratti grotteschi con la sua opulenza fisica, gli abiti di colori vistosi, gli occhiali d’oro, elementi che accentuano i caratteri della villana rifatta. L’ostentazione di ammennicoli moderni e i ridicoli termini in inglese storpiato, con cui la zia si riempie la bocca per stupire gli ingenui compaesani, ne fanno un personaggio caricaturale. «La delusione di mia zia aveva due facce; noi parenti non eravamo morti di fame come dall’America ci immaginava, lei si aspettava di trovarci nudi bruchi, rimpannucciati con i suoi vestiti e nutriti con le sue scatole di conserve vitaminizzate».

Ne La morte di Stalin Sciascia racconta di un calzolaio suo compaesano, testardagginamente comunista staliniano acritico, che solo alla fine si svelerà ai suoi occhi per quello che era nella realtà dei fatti che oggi, nell’anno del Signore 2019, conosciamo tutti quanti: Comunisti e non-Comunisti! Il racconto è ambientato a Regalpetra – rappresentazione letteraria di Racalmuto, luogo di nascita di Sciascia – nel 1948. Il narratore è un fervente comunista, reduce dal confino a Lampedusa nel ’40, e anche lui ha il suo “zio di Sicilia” che nelle sue speranze è l’idolatrata figura di Stalin: «Lo zio di tutti, il protettore dei poveri e dei deboli, l’uomo che aveva nel cuore la giustizia. Calogero chiudeva ogni ragionamento sulle cose storte di Regalpetra e del mondo indicando il ritratto: ci penserà “lu zi’ Peppi”». Tranne accorgersi alla fine, durante una conversazione con un suo amico e compagno deputato, che Stalin, né più né meno era come Hitler.

Ne Il quarantotto, ambientato tra il 1847 e il 1860, narra l’epoca europea dei grandi cambiamenti di potere e delle grandi rivoluzioni. Sciascia in questo Racconto pur lasciandosi andare all’immaginazione, non si lascia “distrarre” dalla descrizione dei fatti storici, ma si concentra sull’atteggiamento delle varie classi sociali di fronte al cambiamento di potere, ai volta-faccia, ai volta-gabbana, agli ipocriti, agli ignavi che in fretta e furia si lanciano sul carro del vincitore temporaneo, sui nobili d’animo che non si lasciano corrompere ma che sono gli unici a pagare, come sempre! Tutto attraverso le vicende di due famiglie: quella del contadino e quella del barone. Il 1848 fu un anno determinante per la storia d’Italia, ma anche per la storia di molti Paesi europei. Ed è proprio al “quarantotto” che fa riferimento il titolo del Racconto: un anno di battaglie, di confusione, di tradimenti e di usurpazioni, di vigliaccate e di approfittatori: e per questi motivi lo chiamarono “quarantotto”!

“L’antimonio” è il Romanzo incompiuto di Sciascia che viene associato nella seconda ristampa del 1961 de “Gli zii di Sicilia” e narra della Guerra Civile di Spagna del 1936 quando Franco prenderà il potere scacciando il Re di Spagna e mantenendolo fino alla morte! Il racconto è la storia di un minatore siciliano, costretto a combattere con le truppe franchiste, attraverso cui gli viene rivelata la crudeltà della realtà del fascismo e della dittatura, della mancanza di qualsiasi libertà di espressione e di movimento, in un regime in decadenza alla fine “governato” dal generale Francisco Franco che rimase al potere, utilizzando metodi feroci, disumani e illiberali, da quando lo prese a seguito della guerra civile spagnola del 1939, fino alla sua morte, avvenuta nel 1975, prima della quale ripristinò la democrazia rappresentativa e fece rientrare i reali di Spagna che avrebbero avuto un ruolo di semplici garanti della costituzione e della democrazia. Ma cosa può averlo spinto un siciliano ad arruolarsi e rischiare la vita per una guerra di cui non conosce il significato? Questo è l’inquietante interrogativo che si affaccia alla mente del lettore che intuisce la risposta solo a narrazione inoltrata quando scopre che l’antimonio – il letale gas delle miniere altrimenti noto come grisou – è il movente della scelta avventata e avventurosa del protagonista e capisce quale sia il nesso: egli era scampato per miracolo, con una fuga precipitosa nei cunicoli bui della miniera, alla repentina e violenta fiammata generata dal terribile gas: «Sempre avevo avuto spavento dell’antimonio, perché sapevo che bruciava le viscere, così mio padre era morto, conoscevo molti che per l’antimonio erano ciechi. Decisi che mai più sarei tornato alla zolfara. Sapevo che c’era una guerra in Spagna, molti erano andati a quella d’Africa e avevano fatto i soldi […] Mi arruolarono. Mia madre e mia moglie piansero. Io partii col cuore in pace: la zolfara mi faceva paura, al confronto la guerra in Spagna mi pareva una scampagnata.»

CONCLUSONI INOPPORTUNE (?)

La vera e straordinaria “chicca” de “Gli zii di Sicilia” di Leonardo Sciascia, sta in questo passo di uno dei Racconti della raccolta, che il lettore che leggerà il libro dovrà divertirsi a trovare:

«Era un vecchio teatro, e ce ne andavamo sempre in loggione. Dall’alto, al buio, passavamo due ore a sputare in platea, ad ondate, con qualche minuto di intervallo, tra un attacco e l’altro: la voce dei colpi si alzava violenta nel silenzio «le mamme…» e anche la voce della guardia municipale veniva su minacciosa da quel pozzo «se vengo su vi squarto, quant’è vero Dio» ma noi stavamo certi che mai si sarebbe deciso a venir su. Quando nel film c’erano scene d’amore cominciavamo a soffiar forte, come in preda ad un desiderio incontenibile, o facevamo quel rumore di succhiare lumache, che voleva essere il suono dei baci; era una cosa che in loggione anche i grandi facevano. E anche questo suscitava le proteste della platea, ma con una certa indulgenza e compiacimento «e che, stanno morendo? mai donne hanno visto, figli di puttane» non sospettando che gran parte di quel chiasso lo facevamo noi due, che nelle storie d’amore dei film trovavamo estro a sputare su quei baccalà che guardavano allocchiti.»

Pochissimi “intellettuali-amanti-della-lettura” e pochissimi “cinefili-amanti-della-settima-arte” hanno fatto riferimento a questo passo. Anzi, a dire il vero, non mi risulta che l’abbia fatto nessuno pubblicamente o privatamente. Nessuno mai ha fatto cenno o ha fatto una critica mirata a questo bellissimo e straordinario passo di uno dei Racconti di Leonardo Sciascia de “Gli zii di Sicilia”.

I fatti, se vogliamo attenerci ai fatti come fa un bravo investigatore e come fa un bravo osservatore acritico, anche se intellettuale e amante delle letture e delle belle storie narrate in forma scritta o cinematografica, sono insindacabilmente questi:

1) Il 20 novembre 1989 Leonardo Sciascia, nato a Racalmuto l’8 gennaio 1921, moriva a Palermo, dopo una lunga malattia iniziata nella metà degli anni ’80. Era stato colpito da un mieloma multiplo che non gli avrebbe dato scampo e che gli aveva purtroppo notevolmente ridotto – se non azzerato – le sue brillanti capacità mentali e intellettuali.

2) Il bellissimo Film “Nuovo Cinema Paradiso”, vincitore dell’Oscar del 1989 come Miglior Film Straniero, usciva nelle sale cinematografiche italiane il 17 novembre 1988, esattamente un anno prima della morte di Leonardo Sciascia, che da tempo oramai aveva perso completamente lucidità e freschezza di spirito.

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