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Liceo in quattro anni: i pro e i contro della sperimentazione

martedì 2 Gennaio 2018

Lo scorso 29 dicembre, suscitando molte meno polemiche rispetto al momento della approvazione ministeriale dello scorso agosto, il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato l’elenco delle scuole di II grado ammesse alla sperimentazione del liceo con un corso di soli quattro anni.
Finora la posizione dei più rimane fortemente critica e ne comprendiamo il perché, visto che la scuola è certamente la struttura organizzata con il maggior numero di dipendenti. La perdita conseguente di tanti posti di lavoro in un momento di fragile ripresa, impedisce persino ai più favorevoli di dire, senza veli, come la pensano. A breve poi si voterà per il rinnovo del Parlamento e nessuno vuole prenderla in saccoccia.
Tra i più critici i sindacati, quelli della scuola in particolare, interessati già da crisi e calo pauroso di tessere
Dichiararsi esenti da condizionamenti quando si valuta un fatto rilevante dal punto di vista sociale, significa essere ipocriti. Tuttavia, sforzarsi di esaminare criticamene una questione mettendo a confronto le opposte posizioni e motivazioni è dovere del cronista.
Proviamoci, esaminando i pro e i contro. Iniziamo dagli aspetti positivi.

L’inserimento nel mondo del lavoro è più facile se precoce. Le imprese sia del settore primario, sia dei servizi tendono ormai ad assumere aspiranti più giovani. Ciò in dipendenza della maggiore flessibilità che questi dimostrano rispetto ai continui cambiamenti nelle procedure, che le imprese devono realizzare, causa la velocità della ricerca.

L’inserimento nel mondo del lavoro è globalizzato in contesti internazionali. Gli studenti in uscita da scuola, formazione professionale e università, in numero sempre crescente, si inseriscono nel ciclo produttivo lontano da casa e spesso fuori dai propri confini. Inoltre gli stranieri, europei ed extra europei cominciano a competere anche per le migliori posizioni di lavoro in Italia. La maggior parte dei sistemi formativi non Italiani registrano livelli di uscita a diciotto anni per i mestieri e a ventidue, ventitré anni per le professioni, cosicché i nostri partono ad handicap.

I sistemi scolastici non si basano più sulla quantità delle conoscenze. Il numero sterminato di contenuti, in tutti i campi dello scibile, non consente più di acquisire contenuti significativamente diversi per quantità rispetto ad altri allievi. Ciò che conta è allenare a scuola la capacità di selezionare ed utilizzare i contenuti per il cosiddetto “problem solving”. Gli alunni, in sostanza, devono avere flessibilità e velocità di elaborazione del pensiero e di applicazione immediata delle conoscenze. Impiegare, pertanto, tanto tempo a scuola in lezioni, interrogazioni e memorizzazione di contenuti non serve. Dodici anni di scuola bastano e avanzano.

Si genera un risparmio, a regime, di circa tre miliardi annui che avrebbe positive conseguenze sui livelli della spesa pubblica. Si tratta di un calcolo automatico ottenuto sottraendo la massa monetaria relativa agli stipendi dei docenti in progressiva diminuzione.

Si risparmierebbe progressivamente in modo significativo sull’edilizia scolastica: meno classi, meno manutenzione, meno spese per la risistemazione a norma di molti edifici in atto inadeguati per sicurezza e accoglienza.

E ora veniamo ai contro.

La riduzione del solo liceo è una modifica “monca” e slegata da tutto il percorso scolastico. La continuità verticale, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di II grado, in atto tiene conto dei diversi curricoli, che prevedono un equilibrio tra i diversi gradi di scuola, sia a livello di indicazioni generali, sia per quanto riguarda contenuti e metodi della programmazione.

La riforma produrrebbe la perdita di quarantamila posti di lavoro, soprattutto tra i docenti di licei, tecnici e professionali. Si tratta di un semplice calcolo, aggravato dal fatto che il numero degli alunni In Italia, per tendenze demografiche, è da anni in continuo e inarrestabile calo. I numeri della scuola pubblica sono incomparabili con qualsiasi altra azienda pubblica e privata e l’impatto, se non temperato da politiche correttive, avrebbe pesanti conseguenze sulle percentuali di occupati, nel Paese.

Una simile riforma, che comporta modifiche di ordinamento rilevanti non può essere affrontata da una classe dirigente che, sarà a breve profondamente rinnovata. Come già avvenuto per riforme rilevanti la decisione è stata assunta da maggioranze risicate, che hanno generato contraccolpi e necessità di riprendere e rattoppare il dettato normativo.

Questo nostro giochino ci porta d’acchito a pensare positivo; le ragioni del Liceo breve sembrano prevalere, purché almeno in parte i docenti sacrificati vengano utilizzati in compiti di sostegno al curricolo. Gli spazi non mancano: nella nostra scuola ci sono tantissimi docenti di sostegno, ma mancano pedagogisti, psicologi, esperti di informatica, logopedisti, presenti in altri sistemi dei paesi OCSE.
La sperimentazione attuale, però, sembra solo un contentino per la esiguità dei numeri. Solo cento classi in tutto il Paese: duemilaquattrocento alunni su un totale di duemilioni e quasi settecentomila alunni della scuola di II grado e centotrentamila classi, considerando solo la scuola di Stato, mentre in realtà molte delle classi sperimentali sono paritarie. A Palermo, per esempio, ai nastri della sperimentazione solo la prima classe del Gonzaga dei Gesuiti e perciò solo un manipolo di alunni, provenienti da famiglie che si possono permettere di pagare una retta.
Infine, qualche contributo da parte della ricerca specializzata sembra, in linea con l’attualità, segnata dalla preoccupazione di non diventare oggetto delle ire di sindacati e populismi oggi tanto di moda. Per tutti, un articolo di Leo Chiosso dello scorso Agosto, sembra scritto da “Re Tentenna”: positivo, anzi positivissimo richiamandosi agli autorevoli pareri degli studiosi chiamati sul tema da Berlinguer e Profumo, ma con tanti dubbi sulla reale capacità del Sistema di realizzare veramente innovazione significativa.

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