«La bella Sicilia dei professionisti e degli artisti…», rubrica d’arte e cultura a cura di Andrea Giostra e Carmela Rizzuti
La Rubrica «La bella Sicilia dei professionisti e degli artisti…» vede oggi ospite la brillate pittrice palermitana Linda Randazzo che ci racconterà della sua passione per Palermo e la sua gente ritratta nei quartieri più vitali e veri della città. Ci parlerà della sua arte, del suo stile, della Palermo e della Sicilia visti attraverso le sue opere, dei suoi progetti futuri e dei suoi sogni d’artista fuori dagli schemi omologati dell’arte contemporanea…
Ciao Linda, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito a «La bella Sicilia dei professionisti e degli artisti…». Nella vita professionale sei una nota pittrice palermitana che vive di questa arte e dedica la sua vita artistica al lavoro e alla bella Sicilia. Intanto come ti vuoi presentare a chi leggerà questa intervista come Donna pittrice?
Intanto grazie a voi per avermi invitato a parlare in questa rubrica, mi lusinga; non saprei come presentarmi al meglio, sono una donna ed anche pittrice, le due cose sono già molto difficili da sostenere da sole, figurarsi insieme e se aggiungiamo la terza componente, cioè le due cose accompagnate dall’essere anche siciliana… allora è evidente che mi presento come una persona piena di problemi!!!
A parte l’ironia, sono una pittrice professionista che vive in Sicilia, un’artista, e penso di rappresentare una vera e propria categoria.
… chi è invece Linda Donna nella sua quotidianità al di fuori dal suo lavoro? Cosa puoi raccontare ai nostri lettori perché possano avere qualche indizio in più su di te quando svesti i panni dell’artista di arti visive?
Io penso che un’artista purtroppo non svesta mai i panni dell’artista: non è una cosa che si fa, è una cosa che si è. Si tratta di uno stato dell’essere, un modo di stare nel mondo; noi artisti pretendiamo anche di guadagnare e di lavorare con questa ossessione, talento, passione come volete chiamarla, studiamo anche tantissimi anni per formarci. In fondo noi non andiamo mai in vacanza, a volte penso che l’arte sia un disturbo della personalità o un modo per convivere con qualche disturbo della personalità. Mi piace stare con gli animali, leggere, fare giardinaggio, fare anche altre cose di cui non parlo. In linea di massima penso di apparire antipatica, direi che il miglior indizio per sapere chi sono sarebbe provare a frequentarmi. Neanche io ho capito bene chi sono.
Come e quando è nata la tua passione per la pittura e per le arti visive? Qual è e quale è stato il tuo percorso professionale, accademico, formativo ed esperienziale che ti ha portato ad essere riconosciuta oggi come una talentuosa e brava artista?
Premetto che il riconoscimento che mi è accordato non soddisfa appieno le mie esigenze e mi rende a volte frustrata, anche se sono felice del riconoscimento, io sento di volere crescere di più. Ho sempre dipinto dato che è il mio linguaggio primario però non ho studiato subito pittura, prima mi sono dedicata al teatro come scenografa e come performer. Vengo fuori dalla scuola del teatro del regista Matteo Bavera, (se si può chiamare scuola), era direttore del Teatro Garibaldi di Palermo, per me è stato fondamentale conoscere questa autentica realtà artistica d’avanguardia, sono stata assistente scenografa, scenografa e costumista di molti dei suoi migliori artisti. Ho anche fatto delle performance dopo avere incontrato il teatro di Andrea Cusumano e sono diventata una pittrice performer nell’orchestra di Lelio Giannetto… il mio maestro di scenografia in Accademia, Enzo Patti, aveva già capito che aveva difronte una vera pittrice ed infatti quando ebbi la fortuna di conoscere Alessandro Bazan, il mio amato padre-maestro mi precipitai a specializzarmi in pittura e scrivere una tesi di laurea sul ritratto di cui lui fu relatore. Lui vide in me il talento della pittura e io potei conoscere i pittori della Scuola di Palermo. Poi ho studiato scenografia al Politecnico di Milano per un breve periodo e poi per follia pura ho scelto di ritornare a vivere qui.
Cosa vuol dire per una Donna artista lavorare in Sicilia e a Palermo in particolare? Cosa vuol dire aver fatto una scelta di vivere del tuo lavoro di artista in questa isola bellissima ma che non sempre riesce a riconoscere i pregi dei suoi talenti e dei suoi artisti?
La mia vita è difficile, si regge soltanto sulla mia capacità di affrontare le sconfitte, le frustrazioni, le ingiustizie, l’indifferenza, le difficoltà di una terra socialmente ed economicamente retrograda. Devo sempre essere performante, capire con chi parlare, lavorare, cercare nuovi interlocutori e collezionisti. Mai scoraggiarsi! I crolli diventano crisi di isteria insostenibili, paura del fallimento. Noi in Sicilia non abbiamo una vera e propria rete lavorativa dell’arte. Mi spiego: ci sono forse due gallerie riconosciute a livello nazionale, pochi curatori riconosciuti sul territorio italiano, poche istituzioni che ci sostengono. La scelta di vivere qui è semplicemente una scelta folle, dettata da un amore romantico ed impossibile. L’isola è bellissima sì, una musa che non dà molto in cambio. Non è lei, l’isola, la crudele, è la sua gente che è difficile. La mia scelta è una scelta veramente strana. Ancora io non capisco perché la Sicilia mi abbia stregata. Forse la risposta è sul piano dell’irrazionale. La Sicilia è soltanto una musa, il posto più bello dove creare. Non dà però molte soddisfazioni da un punto di vista professionale.
Quali sono i punti di debolezza e quali quelli di forza in un lavoro come il tuo a Palermo?
Chi sta a casa e non deve affrontare la burocrazia ed il traffico, chi non deve cercare un lavoro, un parcheggio, un finanziamento, degli interlocutori civili, chi vive come un emarginato sociale nel suo studio d’artista può stare bene in questa città. Gli altri… come fanno a vivere in questa città così caotica ed anarchica? Questa è una domanda che mi pongo sempre. Il punto di forza del mio lavoro qui è che la città è economica ed è circondata da una bellezza naturale incredibilmente a portata di mano…spiagge, montagne, mare, natura. Palermo è una città così assurda umanamente che dà molti spunti di ispirazione. Una città che ha 3000 anni di storia ed è tutta un susseguirsi di civiltà, di etnie, lingue, culture, ad un’artista non può passare indifferente questa infinita fonte di ispirazione. Palermo in alcuni punti è fuori dalla civiltà globalizzata, non succede niente di importante da secoli, è come se il tempo non passasse. Il divenire qui non esiste. Come nella pittura.
Ci racconti un paio di episodi che riguardano il tuo lavoro? Un fatto che ti è dispiaciuto ed uno invece che ti ha fatto molto piacere?
Mi fa piacere quando una persona analfabeta si commuove per un quadro. Mi dispiacciono tante cose ma adesso una in particolare non la ricordo.
Quale consiglio daresti alle ragazze siciliane che volessero intraprendere la tua professione? Secondo la tua esperienza, da cosa dovrebbero stare in guardia e quali invece gli aspetti positivi di una carriera come la tua da fare in Sicilia e a Palermo in particolare?
Darei lo stesso consiglio che darebbe Berlusconi: ragazze sposate un uomo ricco, magari blasonato!
Scherzo! ovviamente direi: ma sei pazza? Vuoi fare la pittrice in una terra così crudele con i suoi figli? Non abbiamo gli autobus, vuoi che la tua arte venga considerata? Sei pazza? I siciliani sono maschilisti! Vedrai solo pittori maschi dovunque… e le donne, dove sono?
Oppure, seriamente, direi loro quello che ho detto a me. La mia forse non è una carriera, forse è una causa persa, chi lo sa? L’arte qui impone un certo rigore morale con sé stessi. Ovvero: combattere ogni giorno, non è la Sicilia che darà qualcosa alla nostra carriera, dobbiamo essere noi a dare qualcosa alla Sicilia. L’artista fa parte dell’aristocrazia della cultura. Solo persone come noi, artisti, scrittori, umanisti, insomma, potremmo in teoria fare progredire questa bella Isola. Anche gli imprenditori potrebbero dare una mano. Eppure molte volte siamo soli, non riusciamo a creare aggregazione. Ancora non riesco a vedere gli aspetti positivi. Sto lavorando perché un giorno io possa dire di aver fatto la scelta giusta. Il punto è questo: la scelta giusta è il modo in cui affrontiamo una scelta “sbagliata”. La mia è una scelta di cuore non di cervello.
Ci racconti qualcosa delle tue passioni al di fuori dal lavoro? Come ami spendere il tuo tempo quando non sei davanti al cavalletto a dipingere?
Per me dipingere non è un lavoro, devo farlo giornalmente, poi per il resto amo camminare al mare con il mio cane, mentre cammino guardo e mentre guardo penso alla luce, penso sempre ininterrottamente come una maniaca alla pittura. Poi sono una persona riservata e sociofobica. Mi piace la solitudine, la lettura, le piante. Ogni giorno è diverso per me. Faccio quello che mi viene di fare a seconda delle emozioni passeggere.
«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?
“Cose di cosa nostra” è uno dei miei libri preferiti, l’ho letto almeno tre volte, è una delle Bibbia della Sicilia, da lì si evince che Falcone non era un semplice giudice ma un antropologo. Tutti i siciliani dovrebbero apprendere da lui. Io la penso esattamente come lui, non credo nel fato, né nella fortuna. Non si può dipendere da variabili così astratte e non si può essere delusi se questi colpi di fortuna non ci toccano. Bisogna eventualmente fallire con orgoglio… io sono orgogliosa. Più che nella fortuna credo nella sincronicità… però, per essere nella sincronicità, cioè, per stare nel proprio divenire sé stessi, ci vuole un gran lavoro. Io ancora non sono brava e piango perché non ho fortuna…
(Sorride). Il successo non dipende totalmente da noi, se no molti artisti geni, non sarebbero morti pazzi e soli. Bisogna essere pronti alla sconfitta anche dopo avere lottato con tutte le forze.
«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza, e la bellezza delle arti visive, secondo te?
È una risposta che implica una lezione di storia dell’estetica. Sono troppo intrisa di storia dell’arte ed estetica per dire cosa sia la bellezza, perché credo che in assoluto non si possa dire. Si può dire che in linea di massima il concetto di bellezza cambia al mutare dei tempi, delle culture e dei contesti… la percezione della bellezza è soggettiva e molto relativa. Bisogna essere cauti con queste definizioni!
Per me, Linda, la bellezza in un’opera d’arte visiva, (ma anche musicale), è quando l’oggetto della nostra contemplazione ci manda in un altrove totalmente metafisico e ci impone la sospensione del giudizio e della ragione. È amore totale e puro. Indicibile. È poesia, prolasso della parola. Quando cessa la paura della morte. Quando tutte le risposte sono soddisfatte. Questa arte esiste. La bellezza non è definibile come proprietà di un oggetto, è un’esperienza percettiva. Attraverso l’arte, quella vera, si può fare l’esperienza della bellezza.
«C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente.» (René Magritte, 1898-1967). Cosa ne pensi di questa frase detta da Magritte? Nelle arti visive qual è, secondo te, il messaggio più incisivo? Quello che è visibile e di immediata comprensione oppure quello che, pur non essendo visibile, per associazione mentale e per meccanismi psicologici proiettivi scatena nell’osservatore emozioni imprevedibili e intense?
Se rispondessi a questa domanda svelerei il mistero dell’arte. Ogni artista fa le sue magie. Magritte essendo un bravo mago sa bene che l’opera d’arte è soltanto l’uscio, la porta di passaggio tra le due dimensioni. È un abisso. Tanto è più vorticoso questo abisso tanto più l’artista compie la sua magia. Infatti penso che una vera opera d’arte scateni l’angoscia. A me la bellezza scatena angoscia. Un sentimento per cui comprendo che credevo di essere qualcosa ed invece sono altro. Il messaggio più incisivo dell’opera per me è questa capacità di fendere la realtà.
«Ma, parliamo seriamente, a che serve la critica d’arte? Perché non si può lasciare in pace l’artista, a creare, se ne ha voglia, un mondo nuovo; oppure, se non ne ha, ad adombrare il mondo che già conosciamo e del quale, immagino, ciascuno di noi avrebbe uggia se l’Arte, col suo raffinato spirito di scelta sensibile istinto di selezione, non lo purificasse per noi, per dir così, donandogli una passeggera perfezione? Perché l’artista dovrebbe essere infastidito dallo stridulo clamore della critica? Perché coloro che sono incapaci di creare pretendono di stimare il valore dell’opera creativa? Che ne sanno? Se l’opera di un uomo è di facile comprensione, la spiegazione diviene superflua… » (Oscar Wilde, “Il critico come artista”, Feltrinelli ed., 1995, p. 25). Cosa ne pensi delle parole che Oscar Wilde fa dire ad Ernest, uno dei due protagonisti insieme a Gilbert, nel dialogo di questa sua opera? Secondo te, all’Arte e alle arti visive in particolare, serve il critico? E se il critico d’arte, come sostiene Oscar Wilde, non è capace di creare, come fa a capire qualcosa che non rientra nelle sue possibilità, nei suoi talenti, ma che può solamente limitarsi ad osservare come tutti gli esseri umani?
Il vero critico d’arte è un genio che a sua volta è in grado di creare un linguaggio che possa esprimere l’arte. I casi sono veramente rari nella storia. Poi ci sono gli storici dell’arte che non devono avere particolari capacità linguistiche filosofiche per esprimere l’arte. La ragione dell’arte e le sue istanze filosofiche può esprimerle solo un filosofo. A me piacciono le critiche di Deleuze, di Boudelaire, di Ponty, di Foucault… Wilde era un altro genio è ovvio che odiasse la critica. Come può la critica esprimere l’inesprimibile? Spiegare la poesia è per gente veramente onesta!
Da ragazzo ho letto uno scritto di Oscar Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui. Disse che l’arte è tale solo quando avviene l’incontro tra l’“oggetto” e la “persona”. Se non c’è quell’incontro, non esiste nemmeno l’arte. Poi qualche anno fa, in una mostra a Palermo alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Riso, ho ascoltato un’intervista di repertorio al grande Gino de Dominicis che sulle arti visive disse questo: «Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto diversi tra loro … L’arte visiva è vivente … l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere.» (Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne pensi in proposito? L’arte esiste se esiste l’incontro tra l’oggetto e la persona, come dice Oscar Wilde, oppure l’arte esiste indipendentemente dalla persona e dal suo incontro con l’oggetto, come dice de Dominicis per le arti visive? Qual è la tua prospettiva sull’arte in generale?
Io sono più amica di Oscar.
Le arti visive sono oggetti, icone, feticci, qui de Dominicis ha perfettamente ragione. Lo sono però fino a quando qualcuno con la sua soggettività non interviene a vivificarli. Per me l’oggetto che ho creato poi è morto cadaverico. Ho bisogno degli altri per sentire che continua a vivere. Le due concezioni sono interdipendenti. L’opera esiste in assoluto come “oggetto assoluto”, appunto. Ha però bisogno di essere percepita per essere considerata viva. Oscar aveva sicuramente una concezione più estetica dell’ arte, ovvero più legata all’esperienza estetica. De Dominicis forse una concezione più concettuale. Forse una prospettiva più “storica”.
«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua arte e nelle tue opere?
Io faccio finta di essere una persona fredda. Mi comprimo e mi deprimo. Queste parole sono meravigliose, però mi domando: questa scrittrice visse la dimensione estetica dell’arte o anche quella etica?
Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che hai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?
In fondo qualcuna l’ho già citata, poi questi nomi che mi chiedi li scriverò prima di morire, prima di essere smentita.
Vorrei ringraziare i miei gatti e me stessa, perché non è facile avere a che fare con me stessa.
Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre film da vedere quali consiglieresti e perché proprio questi?
“Il vangelo secondo Matteo” di Pasolini perché non so… ma io lo amo.
“Otto e mezzo” di Fellini perché è un estasi caravaggesca fatta in forma di cinema, è bellezza pura.
“Il posto delle fragole” di Bergman perché è la malinconia pura.
… e tre libri da leggere assolutamente nei prossimi mesi, quali e perché?
“Il libro dell’inquietudine” di F.Pessoa
“La danza della realtà” di A. Jodorowski
“Morte a Venezia” di T. Mann
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi impegni professionali che puoi condividere con i nostri lettori?
È finito il tempo dei progetti facili e non voglio ricordare perché. Spero che finisca presto, non mi sento di sognare adesso. Non ho molti impegni professionali, ce ne sono alcuni ma sono scaramantica.
Dove potranno seguirti e dove potranno contattarti i nostri lettori?
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Come vuoi concludere questa chiacchierata? Cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa intervista?
Vorrei ringraziare voi e te per avermi interpellato, è importante scambiare idee e conoscere persone nuove. Direi ai lettori di guardare le mie opere. Parlano più chiaramente di come parlo io e con il linguaggio che preferisco, cioè la pittura. Direi poi che ho messo un poco di ironia nelle risposte. Bisogna sapersi prendere in giro.
Grazie a voi, Andrea e Carmela.
Grazie Linda, a presto e… Viva la bellezza delle arti visive!
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Linda Randazzo:
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