Talvolta un silenzio assordante avvolge aspetti fondamentali della società siciliana. Saltuariamente, per altre questioni, un’eco smisurata si diffonde trasversalmente nell’opinione pubblica, determinando eccessive preoccupazioni e grida d’allarme. Negli ultimi anni, silenziosamente e costantemente, l’Isola si è andata svuotando. Un fenomeno con il quale il popolo siciliano ha instaurato una pacifica convivenza, perché è l’inevitabile conseguenza di irrisolti disagi economici e lavorativi.
La forza dell’abitudine ha generato un torpore collettivo nei confronti di un esodo di massa che non vede fine e di cui è difficile ricostruirne l’inizio. Nell’ultimo anno 7.259 siciliani hanno lasciato la propria terra per stabilirsi all’estero. Si aggiungono agli 815.000 conterranei che già da tempo hanno dovuto recidere il filo rosso che li legava alla regione natìa. Un numero pari alla somma dell’intera popolazione di Catania, Messina, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta e Trapani. Come se d’improvviso, queste città non esistessero più, trasformate in deserti artificiali pieni di scheletri di cemento. Il fenomeno che va arginato, con l’impegno dei cittadini e delle istituzioni, il cui assessorato delle politiche sociali e del lavoro è retto da Nuccia Albano.
Senza tenere conto di chi, pur allontanandosi dalla vecchia Trinacria, è riuscito nella magra consolazione di rimanere nella Penisola a forma di stivale. Come Ulisse era ammaliato dal canto dolce e suadente delle sirene, anche per i migranti siciliani il richiamo dell’Isola non può essere trascurato. La voglia di invertire la rotta è forte, ma le circostanze non sempre lo permettono.
Tra le ferite mai sanate del Mezzogiorno, infatti, c’è anche quella della disoccupazione. A restituire un frame significativo della situazione attuale nell’Isola provvede periodicamente l’Istat. In base alle ultime informazioni disponibili emerge che la Regione siciliana si pone al secondo posto per numero di soggetti che attualmente non lavorano: 249 mila.
A preoccupare ancor di più, è che circa il 50% dei disoccupati del Sud Italia è rappresentato dagli under 35. Questo dimostra ancor di più che i due fenomeni, oltre ad essere strettamente correlati, sono anche elevati in termini assoluti. Quanto avviene nell’Isola, tuttavia, è soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno che serpeggia ancor più in profondità, nelle viscere della società.
In media, infatti, circa la metà dei siciliani non si reca alle urne nei giorni delle votazioni. E l’astensionismo non riguarda soltanto la politica regionale, ma anche quella strettamente locale, che coinvolge in modo ancor più diretto ciascun cittadino. La lontananza dalla cabina elettorale, però, non è sinonimo di distanza dalle questioni d’attualità o dalla bagarre politica. Anzi, può identificarsi come una reazione silenziosa che deriva dalla triste consapevolezza di non poter cambiare le carte in tavola attraverso la rappresentanza. Da qui all’azione in prima persona il passo è breve.
Il collettivo senso di sfiducia verso le istituzioni porta da un lato ad un ipertrofico immobilismo nell’implementazione dell’utilizzo dei canali politici o rappresentativi, mentre dall’altro ad un’azione personalistica, specchio di un forte slancio emotivo. Migrare, rimboccarsi le maniche e partire in cerca di condizioni più favorevoli: è un diritto di tutti, ma è il risultato di una sorta di (ri)scatto emozionale.
Ma non tutto passa sotto silenzio nell’Isola. Il confronto pubblico è ancora vivace, seppur si fonda su basi nuove rispetto ai decenni passati. Ogni argomento di discussione nasce dall’emozionalità del singolo fatto di cronaca o dallo stupore della sintesi di dati statistici e ricerche scientifiche. Dai rincari delle bollette agli sbarchi nelle coste meridionali, dagli allarmi ambientalisti alla questione delle concessioni balneari.
Ma tutto dura appena un battito di ciglia, per terminare nuovamente in un languido e sonnolento riposo.