“Ho comprato la pistola 200 euro da un tunisino e sono andato a rovinarmi”. E’ quanto avrebbe detto uno dei tre Romano, Giovan Battista Matteo e Domenico, in questura mentre si trovavano in attesa di essere interrogati.
Una delle tante prove che messe in fila hanno portato il gip Piergiorgio Morosini a convalidare i fermi e firmare l’ordinanza cautelare in carcere per i tre accusati dell’omicidio di Emanuele Burgio, alcuni giorni fa a Palermo Secondo la ricostruzione della squadra mobile, come si legge nell’ordinanza, i tre Romano sono arrivati a bordo di tre scooter insieme ad altre tre persone domenica notte nella zona della Vucciria.
Le immagini riprese dai sistemi di videosorveglianza incastrerebbero Giovanni Battista figlio di Domenico. Il padre l’unico a rispondere al giudice avrebbe cercato di scagionare il figlio. Ma le telecamere avrebbero ripreso Giovanni Battista che tiene la pistola dietro la schiena la carica e la passa allo zio Matteo che in modo fulmineo inizia a sparare contro Emanuele Burgio. Quest’ultimo cerca di fuggire ma viene raggiunto con altri colpi di arma da fuoco. La polizia scientifica ha trovato sul selciato sia alcune macchie di sangue che un’ogiva calibro nove e tre bossoli. Da chiarire ancora il movente dell’omicidio. Domenico l’unico indagato che ha parlato ha raccontato che tutto è iniziato dopo un banale incidente.
L’auto di Burgio avrebbe colpito Giovanni Battista con lo specchietto laterale. Da qui sarebbe nata la lite con numerosi tentativi di riappacificazione andati a vuoto, fino all’omicidio. Ma i tre Romano indagati hanno parlato nella saletta della questura prima di essere interrogati e Domenico rivolgendosi a Matteo disse: “Glielo hai detto che tre anni fa ti aveva scannato a bastonate?”, e Matteo risponde: “Sì, al Calamaro”, segno questo che le liti tra i Burgio e i Romano andavano avanti da tempo e che l’incidente di quindici giorni fa è solo l’ultimo episodio di una guerra che va avanti per altri interessi. (ANSA).