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L’oro rosso del mare: il corallo trapanese, una meraviglia siciliana

mercoledì 15 Aprile 2020

Il corallo siciliano è uno dei tanti tesori dell’Isola, apprezzato da molti secoli a livello internazionale, la cui tradizione affonda le proprie radici in un lontano passato.

Ai tempi dei musulmani la pesca e la lavorazione del corallo conobbe un importantissimo sviluppo, pesca che avveniva, soprattutto, dinanzi Trapani, nelle acque delle isole Egadi, i cui fondali erano ricchi di corallo. Molto verosimilmente, durante l’epoca normanna e sveva, l’attività legata al corallo dovette proseguire e secondo la documentazione di fine trecento, l’oro rosso del mare rappresentava una delle merci più esportate dal porto di Trapani, insieme al sale e al tonno.Ma l’apogeo delle attività legate al corallo, dalla pesca alla lavorazione artigianale fino al commercio, sopraggiunse nel ‘500.

I pescatori, denominati corallini, partivano a bordo dei ligudelli, si trattava di imbarcazioni con un equipaggio di 6-7 persone, lasciando le coste siciliane nel mese di maggio per ritornare a settembre. Solitamente le spedizioni contavano tra i 7 e gli 8 natanti per un totale di circa cinquanta pescatori. La pesca veniva effettuata con una tecnica molto particolare, infatti, si utilizzava un attrezzo a forma di croce alle cui estremità erano legate 4 reti che raccoglievano il corallo estratto dai fondali dall’utensile crociforme.

Ricordiamo che, in quei secoli, i mari non erano particolarmente sicuri, solcati da pirati di ogni sorta, come i pirati ottomani, da razziatori e da flotte ostili: infatti, non era raro che i corallini venissero catturati insieme al proprio prezioso carico. E poiché, spesso, i pescatori durante le spedizioni si dovevano allontanare molto dalle coste siciliane, rimanendo così esposti a pirati e nemici, per tutelarli furono stipulati accordi con altri paesi mediterranei, come la Tunisia.

Con il trascorrere del tempo, le attività legate al corallo divennero così importanti nel Mediterraneo da spingere il governo borbonico ad assumere dei provvedimenti finalizzati a regolare il traffico e la presenza, nei mari siciliani (soprattutto in quelli trapanesi), delle imbarcazioni coralline di altri Paesi, le quali, ad esempio, si sarebbero dovute registrare nel porto trapanese per ottenere l’autorizzazione a pescare nelle acque di Trapani, Agrigento, Santa Croce e San Vito Lo Capo.

A quell’epoca il corallo, come d’altra parte oggi, veniva classificato in base due qualità principali: bruno-aranciato, denominato carbonetto, e rosa-diafano detto squallo, il più pregiato. Invece di caratteristiche particolari è il corallo nero. Nel tentativo di ottenere maggiori guadagni, alcuni corallini non rientravano direttamente al porto di Trapani ma, dopo la pesca, solcavano la rotta verso altre città marittime come Genova, Livorno e Torre del Greco per vendere il corallo a buon prezzo.

Gli orafi trapanesi godevano di grande fama in Sicilia e non solo. Essi, infatti, erano abilissimi anche perché avevano appreso dagli ebrei tecniche raffinate nella lavorazione dei metalli e delle pietre preziose, diventando dei veri e propri specialisti nella creazione di opere artistiche in avorio, alabastro, pietre dure, ambra, perle e corallo. L’oreficeria trapanese toccò livelli di eccellenza nella realizzazione di statuette, amuleti, rosari e nell’impreziosire sfarzosi abiti e paramenti sacri tempestandoli con pietre preziose e corallo.

L’incremento della lavorazione del corallo fu pure dovuto alla crescita, tra ‘600 e ‘700, del culto della Madonna di Trapani, infatti, un numero sempre più crescente di pellegrini ripartivano dalla “città del sale” ritornando nei propri luoghi d’origine con una statuetta di corallo o di alabastro della Madonna trapanese.

Successivamente, a partire dalla metà dell’ottocento, l’economia legata al corallo s’indebolì a causa dei divieti regi di pesca ma anche per il peggioramento delle condizioni di vita dei corallini in quanto i guadagni per quest’ultimi si ridussero drasticamente, poiché presso Sciacca furono scoperti dei nuovi banchi di corallo, facendone precipitare i prezzi: addirittura, con il corallo s’iniziarono a costruire mattonelle e in alcuni campi fu utilizzato come concime.

Per quanto riguarda l’aspetto della lavorazione artigianale, la tradizione di Trapani riuscì a sopravvivere perché il corallaio trapanese, come abbiamo visto, si è sempre occupato anche di oreficeria, riuscendo a lavorare non soltanto il corallo ma pure pietre preziose e l’oro. Una duplice capacità artigianale, quella di corallaio-orefice, che ha permesso il superamento dei periodi economicamente più duri, come quello delle guerre mondiali, poiché l’oro riscontra sempre mercato, diversamente dal corallo, consentendo alle botteghe di sopravvivere e portare avanti parallelamente la lavorazione dell’oro rosso. Così, ancora oggi, numerose sono le botteghe attive a Trapani e provincia.

Il mercato negli ultimi decenni si è risvegliato ma è soprattutto tenuto in piedi dagli antiquari e dai gioiellieri del centro-nord, con una domanda di produzione di qualità provenienti specialmente da città come Roma, Firenze e Milano.

Ricordiamo, inoltre, che il corallo ha ricoperto, nel corso dei secoli, funzioni apotropaiche, venendo usato nelle più disparate forme di amuleti, per combattere paure, ansie e soprattutto la malvagità altrui. Ed è stato anche adoperato come medicamento naturale, efficace contro l’eccesso di sudorazione, contro l’arrossamento della pelle e le scottature.

Il corallo trapanese ha rappresentato e rappresenta una delle tante meraviglie regalate dalla Sicilia al mondo. Un materiale prezioso che è stato, con periodi di maggior fioritura e altri di difficoltà, uno dei pilastri dell’economia trapanese e siciliana, la cui lavorazione era ed è apprezzata a livello internazionale grazie all’abilità artigianale dei maestri corallai, le cui migliori creazioni sono oggi, almeno in parte, visitabili presso il Museo regionale Agostino Pepoli di Trapani.

 

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