È stato Alfredo Chiodi, nipote di Libero Grassi, a dipingere di rosso il marciapiede sul luogo dell’omicidio del nonno, ucciso 30 anni fa a Palermo per essersi ribellato al racket del pizzo. Anche quest’anno in via Alfieri , dove i killer di Cosa nostra entrarono in azione, è stato affisso il manifesto scritto a mano,-perché la famiglia non ha mai voluto una targa- con cui si ricorda il coraggioso imprenditore.
“Il 29 agosto 1991 è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall’omertà dell’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti, dall’assenza dello Stato“, c’è scritto.
Alla cerimonia erano presenti anche il sindaco Leoluca Orlando, il prefetto di Palermo Giuseppe Forlani, la commissaria antiracket e antiusura Giovanna Cagliostro, Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio e i vertici di guardia di finanza carabinieri e della polizia, Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Sicilia, Tano Grasso, presidente onorario del Fai, la Federazione Antiracket.
“Libero Grassi era un imprenditore, una persona civile, un punto di riferimento culturale che ha rappresentato e rappresenta ancora oggi, a distanza di 30 anni dal suo assassinio, l’esempio di una nuova coscienza per gli imprenditori”, ha detto Orlando.
“In quegli anni – ha aggiunto – era isolato nella sua denuncia, ed era scomodo perché le istituzioni statali ed imprenditoriali avevano il volto della mafia. Oggi Libero Grassi può dire ‘missione compiuta’, ma non ancora completata perché le zone grigie, in una Palermo cambiata in sintonia col sacrificio di Grassi nel rifiuto della violenza criminale mafiosa, seppur grandemente ridotte, continuano ad esistere“.
A ricordarlo in un’intervista è il figlio Davide, oggi impiegato regionale. “La città è cambiata – afferma – 30 anni sono tanti: molti palermitani sono diventati buoni cittadini, a parte una fetta irrecuperabile. È una città di omertà diffusa e ignava. L’ignavia non è colpevole, ma quasi”. A cambiare Palermo, per Grassi, più del sacrificio del padre sono state le stragi del ’92 e l’impegno dell’associazione Addiopizzo con la presa di coscienza della società civile. “Un pezzo di Palermo è diventato buono, un pezzo proprio malvagio”, afferma. Suo padre non ci stava al pizzo: “Si ritrovò a essere così per amore o per forza – ricorda il figlio – cercava strade nuove per migliorare il mondo. Non si rese conto che stava rischiando tantissimo. Forse pensava che gli avrebbero bruciato la sede dell’azienda, non che lo avrebbero ucciso”. Su eventuali scuse ricevute dalla famiglia di Libero Grassi sul fatto che l’imprenditore fosse stato lasciato solo, il figlio commenta: “Col cuore, con sincerità nessuno, che io ricordi. Atti di contrizione pubblica non ce ne furono. Forse solo a parole”.
LEGGI ANCHE
Anniversario Libero Grassi, Musumeci: “Temerario della legalità e modello da seguire”