Cade la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa a carico dell’imprenditore trapanese Vito Nicastri, noto come “re dell’eolico” per avere accumulato una fortuna con le energie rinnovabili.
La Corte d’appello di Palermo, riformando la sentenza di primo grado, lo ha assolto dal reato per cui il Tribunale gli aveva comminato nove anni e ha confermato la condanna per intestazione fittizia di beni, irrogando all’imprenditore una pena di 4 anni. Nicastri per gli inquirenti sarebbe uno dei “finanziatori” della latitanza del capomafia latitante Matteo Messina Denaro.
Nicastri era stato condannato col rito abbreviato. La stessa pena era stata irrogata al fratello Roberto che pure rispondeva di concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia. Anche per lui è caduta l’accusa più pesante di mafia e per il reato di intestazione fittizia la pena è stata ridotta a 2 anni e 8 mesi.
A carico di Nicastri, riuscito a mettere su una fortuna da oltre un miliardo di euro, puntando per primo sulle energie alternative, le dichiarazioni del pentito Lorenzo Cimarosa, nel frattempo morto, che lo ha indicato come uno dei finanziatori della ormai più che ventennale latitanza di Messina Denaro. Il mafioso Giuseppe Sucameli, inoltre, intercettato, dice che Nicastri “le cose le faceva per il suo amico di Castelvetrano”, riferimento chiaro al boss latitante.
Cimarosa ha raccontato di una borsa piena di soldi che Nicastri avrebbe fatto avere al padrino di Castelvetrano attraverso un altro uomo d’onore, Michele Gucciardi.
Parallelamente al processo per mafia l’imprenditore è finito sotto inchiesta per corruzione insieme, tra gli altri, al consulente della Lega Francesco Paolo Arata e al figlio Manlio Nicastri. Dopo aver cominciato a collaborare con i pm, rivelando alcuni particolari su un giro di mazzette che coinvolgerebbe alcuni funzionari della Regione, pagati per accelerare l’iter per la realizzazione di impianti di biometano, ha patteggiato una condanna a due anni e 10 mesi per corruzione e intestazione fittizia di beni. I giudici gli hanno riconosciuto la circostanza attenuante della collaborazione con la giustizia. Il figlio Manlio, che rispondeva degli stessi reati, ha invece patteggiato una condanna a due anni.