“Il 5 agosto 1989 ero latitante e mi nascondevo a Capaci. Mi dissero che quel giorno non dovevo uscire di casa. Non specificarono perché ma seppi dell’omicidio del poliziotto e della moglie dalla televisione. La cosa mi colpì perché c’era anche una donna tra le vittime. A quel punto collegai i fatti: l’invito a non spostarmi e il delitto“. L’ha detto il boss Rosario Naimo, ora collaboratore di giustizia, deponendo al processo per l’omicidio di Nino Agostino, agente di polizia e collaboratore dei Servizi segreti e della moglie Ida Castelluccio.
La coppia fu trucidata davanti casa a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989. Naimo si nascondeva in una villa vicina al luogo dell’agguato. Del duplice omicidio è accusato, davanti alla corte d’assise di Palermo, il boss Gaetano Scotto, mentre un amico della vittima, Francesco Paolo Rizzuto, risponde di favoreggiamento. Il boss Nino Madonia, ritenuto il mandante del delitto è stato processato separatamente e condannato all’ergastolo.
Naimo ha raccontato alcuni particolari della sua latitanza e poi ha aggiunto: “La dinamica dell’omicidio e le modalità organizzative sono tipiche di Cosa nostra ma non posso aggiungere altro. Nessuno poteva fare un’azione del genere nel mandamento di San Lorenzo senza l’autorizzazione di Totò Riina. Per assurdo l’unico che avrebbe potuto farlo, sfidando il potere di Riina, era Nino Madonia. Ma questa è fantascienza“. Il pentito ha anche sostenuto che in quel periodo Totò Riina era “inviperito” con i Madonia, con Nino in particolare che accusava di sapere solo sparare e di non aver imparato altro. L’ex boss ha anche raccontato i suoi trascorsi negli Usa riferendo di aver rifiutato di eseguire l’ordine di Riina di uccidere il capomafia John Gotti e il procuratore generale Rudolph Giuliani.
Il processo è stato rinviato al 26 novembre.