E’ definitiva la confisca disposta, per evasione fiscale, dei beni, stimata in circa 127 milioni di euro, dell’imprenditore marsalese Michele Angelo Licata, di 60 anni. Il provvedimento riguarda ristoranti, alberghi, auto, terreni, conti bancari al centro dell’intervento della Cassazione che ha respinto il ricorso dell’imprenditore e dei suoi familiari contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo, che, tranne che per alcuni beni della moglie, aveva confermato la confisca.
Michele Angelo Licata, noto per la sua attività nel settore della ristorazione e nel campo alberghiero, è stato per anni al centro di un’indagine della Guardia di Finanza. Condannato in via definitiva a due anni e mezzo per frode fiscale e assolto dall’accusa di malversazione, è stata dichiarata la prescrizione per truffa allo Stato e tutte le altre contestazioni fino all’anno d’imposta 2010. In primo grado, in abbreviato, era stato condannato a 4 anni, 5 mesi e 20 giorni. Secondo quanto emerso dalle indagini, tra il 2006 e il 2013, il gruppo Licata avrebbe evaso Iva e altre tasse per circa 6-7- milioni di euro. In primo grado, la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani aveva disposto un parziale dissequestro, restituendo alla famiglia Licata circa metà dei beni sequestrati a fine novembre 2015.
In secondo grado, però, la Corte d’appello ha accolto quasi per intero le richieste dell’accusa, confermando la “pericolosità sociale” dell’imprenditore e applicandogli la misura preventiva della sorveglianza speciale. A fine novembre 2015, gli inquirenti definirono Michele Licata un “abituale evasore fiscale socialmente pericoloso“. Il maxi-sequestro, disposto su richiesta dell’allora procuratore di Marsala Alberto Di Pisa e dal sostituto Antonella Trainito, fu la più imponente misura di prevenzione patrimoniale per “pericolosità fiscale” a livello nazionale. Lo scorso gennaio, in un altro processo, la Corte d’appello di Palermo gli ha invece confermato la condanna a 5 anni di carcere per auto-riciclaggio.