La scatola nera dello scontro del centro destra sta negli sms. All’indomani dell’intervista rilasciata da Nello Musumeci sul quotidiano La Sicilia in cui annunciava che “il tempo è scaduto” e che non aspettava oltre per lanciare la sua candidatura a governatore della Sicilia, Gianfranco Miccichè scriveva a uno dei collaboratori più stretti: “Uno che fa una cosa di queste non si vuole candidare, secondo me lo fa apposta”.
Dal cellulare di Miccichè poi partiva un secondo messaggino telefonico, stavolta diretto a uno dei luogotenenti di Musumeci: “Complimenti, avete fatto vero una bella genialata”
Sono i giorni in cui l’apprezzamento nei confronti di Musumeci da parte della coalizione, Forza Italia compresa, raggiunge il massimo livello. L’altra reazione è di Attaguile, segretario di Noi Con Salvini che spara a zero su Musumeci. Niente sms stavolta, ma una nota ufficiale.
Questo per dire che la cronaca di una separazione annunciata tra Miccichè e Musumeci parte dal dna politico profondamente diverso dei due. Si caratterizza per le ferite di un passato di rancori politici che entrambi hanno accumulato dopo le regionali di 5 anni fa e prende forma attraverso i pretesti (alfaniani dentro si o dentro no) che nulla spostano se non nell’ufficialità della decisione comunicata ieri.
Alla protesta di Miccichè sulla scelta dei tempi per rompere gli indugi e mettere tutti per l’ennesima volta di fronte al fatto compiuto, Musumeci ribatteva: «Aspetto una risposta da 4 mesi, ormai sono in campagna elettorale».
Ognuno dei due cioè non si è mai spostato di un millimetro dalla propria verità, certo, ciascuno rispetto all’altro, di essere dalla parte della ragione.
A mancare non sono stati i mediatori, ma la volontà di fidarsi. Dei due che si fida meno dell’altro è Miccichè. vede in Musumeci un presidente della Regione potenzialmente ‘forte’, non un profilo che scende a patti e va a discutere, sminuzzando la politica quotidiana e l’attività di governo di Palazzo d’Orleans.
Quindi il commissario di Forza Italia e Musumeci la mettono sul piano dei compagni di viaggio, dagli Alfaniani a Fratelli d’Italia, fino alla possibilità lanciata da Miccichè di fare in Sicilia sotto ferragosto il Partito popolare europeo, quando al gruppo di Alfano interessa incassare sostanzialmente l’apparentamento al Senato e la sopravvivenza in campo nazionale.
Certo sarebbe clamoroso e per certi versi paradossale, se Alfano rientrasse nel centro destra a livello nazionale domani con Salvini e Meloni e l’unico prezzo pagato oggi da veti, personalismi e strumentalizzazioni, fosse il no di Miccichè alla candidatura di Musumeci, ideologizzata o meno, a secondo del vento di giornata.
Miccichè si assume agli occhi di Berlusconi la responsabilità, cinque anni dopo, di far correre spaccato il centro destra, un soggetto politico che non c’è ancora, se il problema è rendere compatibile i leghisti di Sicilia, Meloni e Alfano. Ma il contrasto riguarda gli uomini non i simboli. Musumeci ha battuto la Sicilia presentandosi da candidato civico non da uomo d’area.
Il leader di Forza Italia in Sicilia adesso dovrà fare in fretta a rimettere insieme i pezzi di un’altra candidatura. Una mano gliela darà certamente Cuffaro, un altro che per Musumeci non ha mai fatto salti di gioia.
Alfano che nelle ultime ore si è de materializzato, pronto a riapparire con il suo gruppo, in entrambi gli schieramenti, rimane l’ago della bilancia della politica strutturata dei partiti. Quella dei veti e delle verità che si possono solo sfiorare.
Tutto il resto è noia.