Le microplastiche e le nanoplastiche rappresentano una delle principali emergenze ambientali e sanitarie del nostro tempo.
“Si tratta di frammenti di plastica inferiori a 5 millimetri (microplastiche) o ancora più piccoli, invisibili a occhio nudo (nanoplastiche), derivati dalla frammentazione di rifiuti plastici o prodotti intenzionalmente in queste dimensioni per scopi industriali”, spiega Marta Szychlinska, docente di Anatomia umana c/o dell’Università degli Studi di Palermo.
“Negli ultimi anni, la comunità scientifica ha puntato i riflettori anche sulle cosiddette bioplastiche, spesso percepite come una soluzione più ecologica – prosegue -. Tuttavia, studi recenti evidenziano che, se smaltite in modo improprio, anche queste possono frammentarsi e rilasciare particelle tossiche nell’ambiente, con implicazioni ancora poco conosciute sulla salute umana e sull’ecosistema”.
Un inquinamento ubiquitario
Le microplastiche non risparmiano nessun ambiente terrestre o acquatico: dai ghiacciai artici fino agli abissi oceanici.
“Entrano nella catena alimentare partendo da organismi microscopici come il plancton, che inghiotte questi frammenti scambiandoli per cibo. Da lì, risalgono lungo la catena alimentare: i pesci accumulano microplastiche nei loro tessuti e, attraverso il consumo umano, questi materiali finiscono nel nostro organismo. Gli studi più recenti, infatti, hanno rivelato questi minuscoli frammenti in fegato, reni, polmoni, e persino nel sangue e nella placenta. Le dimensioni nanometriche permettono a queste particelle di superare le barriere biologiche, penetrando nei tessuti e provocando potenziali effetti tossici e infiammatori”.
E le bioplastiche?
Le bioplastiche sono pubblicizzate come alternative sostenibili. Tuttavia, il loro comportamento nell’ambiente non è così semplice.
“Se non smaltite correttamente, molte bioplastiche non si degradano completamente e possono rilasciare particelle micro e nanoplastiche, con effetti simili a quelli delle plastiche convenzionali. Questo fenomeno è particolarmente critico per la salute. La sostenibilità non si misura solo dall’origine dei materiali, ma dall’intero ciclo di vita del prodotto – conclude -. Anche il più “bio” dei materiali, se abbandonato, può diventare una minaccia per l’ambiente e la nostra salute“.
Plastamination
“L’Università di Palermo partecipa al progetto Plastamination, finanziato dal Mur nell’ambito del Pnrr, per studiare gli effetti delle bioplastiche a base di Acido Polilattico (Pla) sugli ecosistemi e sulla salute umana. Il progetto coinvolge quattro atenei del Sud Italia: Palermo, Salerno, Parthenope di Napoli e Campania Luigi Vanvitelli. Obiettivo centrale è raccogliere contributi scientifici sull’inquinamento da plastiche, analizzandone gli effetti morfologici, molecolari e sull’ambiente – conclude -. A Palermo, sotto la guida del Prof. Francesco Cappello, il pesce zebra viene utilizzato come modello per valutare l’impatto ecotossicologico delle nanoplastiche”.