Carissimi,
Mi ritrovo assorto sulla mia scrivania di lavoro a ordinare le tante carte inutili della burocrazia fatte da note tutte uguali che iniziano con frasi standard come “con la presente” o con “facendo seguito” e che sanciscono il principio “dell’io per si e per non lo scrivo affinché un domani tu non possa dire che io non lo avessi scritto” ed ecco che nel mio orecchio risuona una ciclica cantilena “io sono, tu sei, egli è …”.
Una bimba, venuta a trovare la mamma che lavora per poter tornare a casa insieme, nella stanza fa diligentemente i suoi compiti, ripetendo a memoria e a voce alta il verbo “essere”.
All’inizio mi dà soltanto la sensazione di una nenia ma a lungo andare la voce del verbo essere mi entra distintamente nel cervello cogliendone in pieno la sua essenza e soprattutto l’importanza con ciò che esso sentenzia.
“Io sono, tu sei, egli è”, chiaro poiché “io sono” e sono pochi oggi coloro che si possono permettere di presentarsi prima di affrontare una conversazione con l’affermazione del proprio “essere”.
“Io sono”, quanti al giorno d’oggi possono avere la consapevolezza dell’essere qualcuno, quanti hanno una propria storia da presentare, quanti hanno un passato che li qualifica e l’identifica immediatamente nell’atto di presentarsi?
Tutti gli altri devono spendere più parole per far capire all’interlocutore chi si trovano davanti, eppure accade ancora che molti confondano “l’essere” con il “sentirsi”, ma badiamo bene sentirsi utilizzato non per ascoltarsi, ma per identificare il livello di autostima “geneticamente modificato” a tal punto di sopravvalutarsi. Molti “si sentono”, ma non “sono”.
Siamo in un’epoca nella quale i fratelli Montgolfier farebbero grandi affari visto il numero di “palloni gonfiati” che vi sono in giro, viviamo un periodo caratterizzato da meteore sopravvalutate o da gente venuta dal nulla e senza un passato, ritrovatasi per miracolo ai vertici dei nostri contesti sociali e pronti a scomparire alle prime difficoltà, gente pronta a mandare avanti le proprie credenziali costituite da pagine, pagine, pagine curriculari piene di nulla.
Ci fu un periodo nel quale conoscere una persona che poteva dire “io sono” ci cambiava la vita e nella peggiore delle ipotesi ci rassicurava, oggi sembra che ad aver preso il campo sono una seria di personaggi che somigliano più a formiche che una volta tolta la pietra a copertura del formicaio, girano freneticamente apparentemente senza una ragione, ma pronte a organizzarsi militarmente, facendo parte di un unico disegno, nel momento in cui c’è da organizzare una lunghissima fila per portare nella tana la “grossa mollica”.
Siamo davanti alla scomparsa graduale degli “io sono”, ridotti alla dotazione minima e relegati dall’organizzazione dietro le linee a vantaggio degli effimeri che “si sentono qualcosa”.
Scoraggiando chi vuole fare, facendo partire le intelligenze e le energie migliori, scoraggiando la semplice iniziativa si è avvantaggio chi dietro le quinte opera, manovra, dispone e addirittura si sovrappone in produzione per essere certo che il suo volere arrivi a compimento.
Operando in questa maniera quando potremo avere una reale crescita di questo contesto sociale e di conseguenza economico? Può darsi che tutto ciò sia strumentale e scientificamente programmato da tempo? Può darsi che questa è l’epoca degli utili idioti in prima linea?
Con tre domande non da poco vi abbraccio, Epruno.