Non fu commessa alcuna estorsione: secondo i giudici della quarta sezione della Corte di appello di Palermo si trattò di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, reato che non è più punibile in quanto prescritto.
Questa la pronuncia nel processo a carico dell’avvocato Francesca Picone e della sorella Concetta, consulente di un patronato, condannate il 7 dicembre del 2018 per le accuse di estorsione e tentata estorsione a carico dei familiari di alcuni clienti disabili dello studio legale. Il gup Alfonso Malato aveva inflitto 4 anni all’avvocatessa e un anno e 8 mesi alla sorella: sentenza che, adesso, è stata riformata.
Secondo l’accusa iniziale la principale imputata, che in una circostanza avrebbe avuto il supporto della sorella, avrebbe costretto alcuni clienti che assisteva in una causa previdenziale per ottenere l’indennità di accompagnamento per figli o familiari disabili, a pagare una parcella ulteriore a quella stabilita dal tribunale prospettando, in caso contrario, che sarebbero andati incontro a problemi economici peggiori e che avrebbero perso la stessa indennità.
I difensori – gli avvocati Angelo Farruggia, Annalisa Russello, Fabrizio Siracusano e Valerio Spigarelli – hanno impugnato il verdetto e i giudici hanno accolto gran parte delle loro tesi. In sostanza la Corte ha ritenuto che le richieste economiche non fossero indebite.